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La radice del male

la radice del male(Mimmo Sinagra) – Non si fa in tempo, in questi ultimi mesi, ad apprendere di un fatto di sangue, che ne avviene immediatamente un altro, ancora più atroce. E di atrocità in atrocità si perviene ad una codificazione, ad una individuazione apparente delle cause più comuni. Cause della più varia natura: dal fanatismo e integralismo religiosi, al razzismo, all’antirazzismo fanatico, all’odio per la donna considerata come oggetto da possedere, alla pedofilia più ripugnante. Questi sembrano i “moventi” più frequenti, le cause dei fatti più turpi. E si individuano contemporaneamente i “mostri”: gente che “saluta sempre”, che appare gentile, ragazzi studiosi, uomini pii, ma che, ad un volgere di sguardo, come il dottor Jackill e Mister Hide, si trasformano nelle incarnazioni del male. A ciò consegue una reazione scomposta di “emotività omicida”, che scarica sugli altri le proprie tensioni e che riporta poi ad una certa assuefazione, in attesa dell’evento successivo, che genera le stesse dinamiche psicologiche.
Ma ad una riflessione più attenta, la radice del male alligna non in individui “geneticamente” predisposti, ma in ciascuno di noi.
Travolto da una società senza valori, in cui chi ci è accanto è considerato un concorrente e un nemico, e in cui la ricerca della propria autorealizzazione non si compone, ma confligge, con quella dell’altro, l’uomo è fondamentalmente solo. La crisi di relazioni lo attanaglia e lo annienta, la “morte di Dio”, sostituito da ben altri tiranni, lo priva del rapporto con i suoi simili. E cerca al di fuori di sè ciò che soltanto dentro di sé può trovare: la radice del bene e del male.
Razzismi, fanatismi, integralismi sono soltanto le espressioni estreme e multiformi del male che nasce dal cuore dell’uomo, di ogni uomo, capace di efferati delitti come di sublimi eroismi. Male che avvelena le relazioni, con Dio, il prossimo e l’ambiente per i credenti, con queste ultime due realtà per coloro che non credono in una realtà trascendente.
È, alla fine, un problema squisitamente “religioso”, ove per “religioso” si intende non l’appartenenza a questo o quel credo, ma, come dall’etimologia del termine, una relazione, di qualunque genere, con l’A/altro.
Una società che renda cieco l’uomo a tal punto da escludere per qualsiasi ragione la possibilità di questi “incontri”, che ne impedisca la crescita e che non ne favorisca la realizzazione non potrà che degenerare nel male che consegue alla logica dell’ “homo homini lupus”.