ITINERARIO ASSOCIATIVO 2025/2026
Sussidio per il cammino formativo e di servizio del Mieac per l’anno associativo 2025/2026
A scuola di prossimità
Il primo e imprescindibile obiettivo è quello di educare ed educarci all’accoglienza, aprendoci ai più vulnerabili ed emarginati, alla luce dell’Enciclica Fratelli tutti, dedicata alla fraternità universale.
Compito del MIEAC sarà quello di dare il proprio contributo educativo affinché il sogno di fraternità e di amicizia sociale possa trovare riscontro nella realtà e tutte le persone possano sentirsi un’unica umanità, viandanti sulle strade della vita fatti della stessa carne.
“La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. Il nostro mondo rischia di diventare sempre più chiuso, a causa della mancanza di speranza e della sfiducia seminate nella società. In particolare, occorre evidenziare alcuni aspetti: le polarizzazioni che non aiutano il dialogo e la convivenza; la cultura dello scarto, che porta a ritenere che le persone siano “sacrificabili”; la disuguaglianza di diritti e le nuove forme di schiavitù; il deterioramento dell’etica, l’indebolimento dei valori spirituali; la manipolazione e lo svuotamento di nobili parole, quali libertà, giustizia, democrazia, unità; l’assenza di un’alleanza educativa tra educatori appartenenti a generazioni e a culture diverse”.
Per contrastare tutto ciò, “la via è la vicinanza e la cultura dell’incontro”, per la costruzione di un mondo più fraterno e accogliente. Da qui l’impegno per itinerari educativi e di servizio volti all’apertura e all’incontro con l’altro, all’accoglienza e all’integrazione delle persone vulnerabili ed emarginate, al superamento della cultura dello scarto attraverso progetti di inclusione, alla promozione di programmi di sensibilizzazione in prospettiva interculturale e interreligiosa.
Sussidio per il cammino formativo e di servizio del Mieac per l’anno associativo 2025/2026
ITINERARIO ASSOCIATIVO 2024/2025
Ripensare la comunità, l’economia, la politica
La crisi pandemica prima e le incertezze geopolitiche, generate dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente dopo, hanno reso indispensabile una riflessione sul significato da assegnare alla “civile convivenza”, ai suoi valori fondanti e al nostro impegno perché essi diventino patrimonio di ognuno.Rilevanti sono oggi anche le conseguenze del cambiamento climatico che Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Laudate Deum evidenzia con l’intento di sollecitare tutti, non solo i potenti, a fare qualcosa di concreto, subito! La gravità del momento storico e del quadro generale ambientale si rivelano come un serissimo problema sociale che si ripercuote sulla dignità della vita umana con conseguenze disastrose in ambito politico, demografico, economico e culturale8.
La vita è relazione e questa al contempo crea legami sentimentali e solidali ed è generata da valori e obiettivi condivisi. Solo se i valori sono sentiti e i legami sono forti è possibile generare “beni relazionali collettivi”. Di converso, i legami e gli obiettivi egoistici, forti solo per se stessi, ma socialmente deboli, producono relazioni cattive e fasulle, che minano alla base la crescita, addirittura la nascita di comunità, di qualunque natura esse siano. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, per esempio, è la cristallizzazione giuridica di un’idea di libertà che frammenta le comunità e che dimentica i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (ex art. 2 Cost.)
In fondo è “l’ipostasi normativa” della cura degli interessi individuali e rappresenta la chiara rinuncia a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. “(ex art 3 Cost.)
È una pericolosa inversione tra situazioni di partenza e valori condivisi: non si rafforza l’impegno a lottare affinché, attraverso le relazioni, pur partendo da differenti situazioni economiche e sociali, si giunga ad una sostanziale uguaglianza e ad una effettiva partecipazione alle stesse opportunità.
Si ribalta la prospettiva: ora si procede da alleanze di portatori degli stessi interessi individuali, soprattutto economici, per consolidare la protezione degli stessi interessi. Questo non sembra possa definirsi valore sociale, se la società va intesa come intera collettività. Non solo, la frattura che si crea e si consolida si nutre di falsi, ma potenti, collanti pseudo culturali che si trasformano facilmente in integralismo e intolleranza.
La consapevolezza del declino di valori capaci di unire le differenze, e non allargare le divisioni, deve spronarci a contribuire ad un deciso cambio di direzione.
Un cambio che deve iniziare dalle nostre azioni individuali per sfociare in impegno “comune per i beni pubblici”. Pubblico non significa che il bene non appartiene a nessuno, ma l’esatto contrario: appartiene a tutti, e proprio per questo una diminuzione del bene è una sottrazione per ognuno, perché ognuno è una piccola parte del tutto e di tutti. Una diminuzione del bene comune diventa assottigliamento e impoverimento della Comunità. Perché la Comunità va intesa nel suo profondo e duplice significato di cum-munus, come “dono” e “dovere”. La comunità come condivisione del dono, del dovere, della responsabilità e della cura dell’altro9.
L’amore, attraversando la Città dell’uomo, è capace di generare nuove forme di convivialità, nuovi modi di vivere con cui affermare l’autonomia e l’interazione tra i singoli individui nella comunità. Il nostro cammino di comunità è certamente un cammino cristiano, ma è un cammino al quale sono chiamati tutti gli uomini: l’umanità infatti è una, e ogni uomo o si colloca in una comunità, in relazione con gli altri, e allora si umanizza, oppure sperimenta quel cammino individualistico che ha come unico esito possibile la barbarie. Ogni essere umano prima o poi se ne va, ma dopo di lui restano i figli, resta quella comunità costituita dalle nuove generazioni. Ecco perché pensare e costruire la Comunità significa lavorare per la qualità della vita di chi verrà dopo di noi.
È questa chiamata a vivere la relazione con gli altri, con il mondo, che ci permette di assumere come compito esigente quello di costruire insieme una storia di solidarietà, attraverso i gesti concreti e le scelte di ogni giorno, eliminando quelle strutture di peccato e quelle disuguaglianze che minano le fondamenta di una convivenza basata sulla gratuità, sul dono, sulla condivisione.
La fraternità non può costruirsi per decreto dall’alto, ma mediante un’opzione fondamentale, che investa totalmente la vita, dandole un senso complessivo: questa luce, che illumina l’esistenza dal di dentro, muove la persona a vivere con libertà e responsabilità.
La globalizzazione della carità dovrebbe essere una sfida e un compito; non c’è, infatti, fraternità senza giustizia sociale, senza pieno riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, senza accoglienza della diversità, senza lavoro e sviluppo per tutti.
Fraternità allora significa costruire una democrazia partecipata, senza discriminazioni di razza, etnia, cultura e religione, dove non esistono stranieri ed extracomunitari, ma persone; significa formulare progetti politici capaci di ridurre, se non eliminare, le
disuguaglianze, offrendo opportunità di lavoro e di sviluppo per tutti; significa ricostruire un tessuto di solidarietà con i poveri, realizzare i diritti di cittadinanza per tutti, promuovere la dignità di ogni uomo, non solo a livello di grandi pronunciamenti
sulle Carte nazionali e internazionali, ma nella concreta realtà della vita e delle scelte quotidiane.
La comunità è chiamata, pertanto, in dialogo con le diverse culture, a diventare soggetto di elaborazione di una antropologia in grado di disegnare un progetto di uomo e di società coerente con i valori umani e con il rispetto della dignità inviolabile della persona, secondo un modello di condivisione di valori morali, di equità, di giustizia, di solidarietà.
A questo proposito, si possono indicare alcune priorità:
– colmare il divario tra magistero e prassi;
– potenziare i luoghi e i modi della partecipazione, della corresponsabilità, del discernimento;
– superare l’atteggiamento di equidistanza, di neutralità di fronte alle scelte di campo: non si può essere super partes quando si tratta delle esigenze della giustizia e della verità;
– motivare ad assumere un forte impegno educativo: creare percorsi di consapevolezza, itinerari formativi per rendere l’adulto in grado:
- di avere strumenti conoscitivi ed operativi per intervenire nella soluzione dei problemi
- di aprirsi alle esigenze del territorio
- di assumere responsabilmente i problemi della convivenza, attraverso la maturazione di una forte coscienza civica
- di esercitare con competenza la propria professionalità nei contesti e negli ambienti in cui ciascuno è chiamato a vivere
- di leggere e comprendere i fenomeni socio-culturali, anche attraverso lo studio della Laudato Si’, della Laudate Deum e della Fratelli tutti.
Sussidio per il cammino formativo e di servizio del Mieac nell’anno associativo 2024/2025
Custodire
«Siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella Natura; custodi dell’altro e dell’ambiente. Non lasciamo che segni di morte e distruzione accompagnino il cammino di questo nostro mondo! […] Sia chiaro che la vocazione del custodire non riguarda solo noi cristiani: essa ha una dimensione superiore e a priori, che è semplicemente umana e riguarda tutti. Parliamo della custodia dell’intero creato, della bellezza del creato, così come è scritto nel libro della Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi: essa significa avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo; significa quindi custodire la gente, aver cura di tutti, di ogni persona, con amore – specialmente dei bambini, dei vecchi e di coloro che sono più fragili e spesso sono alla periferia del nostro cuore. È aver cura l’uno dell’altro in famiglia e tra amici: gli amici e i coniugi si custodiscono reciprocamente, e come genitori si prendono cura dei loro figli e dei figli degli amici, e col tempo i figli diventano custodi dei genitori… L’amicizia è un reciproco custodirsi, nel rispetto e nella volontà di bene… In conclusione, tutto è affidato alla custodia dell’uomo ed è una responsabilità che riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!».
(PAPA FRANCESCO, Omelia per l’inizio del Ministero Petrino, Roma 19 marzo 2013).
Sussidio per il cammino formativo e di servizio del Mieac nell’anno associativo 2023/24
Condividere
L’anno associativo 2022-2023 è scandito dal verbo “condividere” (V. Documento Congressuale), a partire innanzitutto dal proposito di “alzarci in piedi”, vincendo lo scoraggiamento e la tentazione di vedere impossibile o inutile ogni impegno e, in secondo luogo, dalla consapevolezza che vanifichiamo ogni progetto se facciamo venir meno il concreto servizio alle realtà in cui viviamo.
Sussidio per il cammino formativo e di servizio del Mieac nell’anno associativo 2022/23
Guardare oltre
“Oltre” i luoghi comuni, le apparenze, il contingente, gli slogan, le falsità, gli stereotipi… per andare in profondità e saper leggere, conoscere, comprendere a tutto tondo la nostra e l’altrui esistenza, la realtà che ci circonda, le logiche e le scelte sociali, politiche, economiche che determinano la qualità della vita umana e dell’intero pianeta.
“Guardare oltre” per prenderci cura di ogni “altro” e poter accogliere nella nostra esistenza di creature il totalmente “Altro”.
Per un patto educativo globale
L’itinerario del Mieac, nell’anno associativo 2020-21, avrà come punto di riferimento costante la
proposta di papa Francesco di un impegno comune per la costruzione di un «patto educativo globale».
Scavando pozzi nel deserto
Stiamo attraversando un “deserto”, dove non ci sono stelle che orientino il cammino e dove l’aridità non
solo non fa germogliare nuovi semi, ma fa inaridire anche le palme, estremo riparo contro l’arsura.
Ma è, paradossalmente, proprio il deserto, questo vuoto spirituale ed esistenziale, che ci permette di assumere come coordinate essenziali lo spazio, il tempo, il cammino. Uno spazio difficile e pericoloso, persino ostile; un tempo lungo dell’attesa che richiede pazienza e fiducia,
vissuto nella speranza; il cammino verso la terra promessa della pace, della giustizia, della fraternità è la meta. Come Giovanni Battista, nel deserto, siamo chiamati a riconoscere la presenza di Dio e nello stesso tempo denunciare l’idolatria del denaro e del potere. Qui, in questi posti aridi e difficili, in questa terra desolata, senza sentieri, Dio ci chiama ad incontrare la storia umana, ci attende per parlare al nostro cuore e rivelarsi con il suo amore misericordioso. “Ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore” (Osea, 2, 16).
Allora, il deserto potrà essere il luogo della rinascita e ridiventare il giardino preparato per l’uomo
nell’opera della Creazione (Gn. 2, 8-15) e figura della nuova creazione dell’era messianica, quando
il Signore farà fiorire il deserto. «Si rallegreranno il deserto e la terra arida, esulterà e fiorirà la steppa, fiorirà come fiore di narciso» (Isaia 35,1-2).