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Fa udire i sordi e fa parlare i muti

«FA UDIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI»
(Is 35, 4-7a; Gc 2, 1-5; Mc 7, 31-37)

Pur avendola letta centinaia di volte, questa pagina di Vangelo non finisce mai di stupirmi. Anzitutto perché ci presenta Gesù sempre in cammino, che va incontro e si lascia incontrare da quanti hanno bisogno di Lui, della sua presenza carica di simpatia, della sua parola di grazia, della sua viva compassione. In maniera particolare, poi, perché il suo cammino non lo porta solo nella Galilea e nella Giudea, regioni abitate dagli ebrei, gente che reclama la sua identità di popolo di Dio. Gesù infatti va e viene anche nelle regioni abitate dai pagani, come Tiro e Sidone e tutto il territorio della Decapoli. Con i fatti, Egli mostra che è venuto per tutti, perché tutti il Padre vuole salvare e a tutti vuole mostrare il suo volto, per mezzo del suo Figlio Gesù. Dio non fa particolarità e non si lascia guidare da criteri umani di favore o di privilegio. Al contrario, proprio i poveri, i piccoli e i lontani sono quelli a cui rivolge maggiore attenzione, così come i peccatori sono quelli che Egli è venuto a cercare, per dar loro la grazia del perdono e la salvezza.

L’altro particolare che mi sorprende è l’espressione colma di stupore e ammirazione della gente di fronte alla guarigione del sordomuto, con cui si conclude questa vivacissima pagina del Vangelo: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». In verità è proprio questa frase che mi fa riflettere. Perché equivale a dire che riuscire a rendere una persona capace di ascoltare e di entrare in sano e costruttivo dialogo con gli altri sia la cosa più difficile e straordinaria che si possa compiere.  Mi da la forte sensazione che questa sia una osservazione di incredibile profondità. La descrizione del miracolo infatti è molto accurata e Marco segue attentamente le varie fasi del processo di guarigione fino al risultato finale. La prima cosa che emerge dal racconto è la sensibilità delle persone che si prendono cura del sordomuto. Egli è incapace di esprimersi e quindi sono altri che lo portano a Gesù e fanno la richiesta di guarigione in nome suo. Essi chiedono a Gesù di imporre la mani sul loro amico, come segno di invocazione, ma anche di trasmissione della potenza di guarigione.

Ma Gesù fa molto di più. Prende per il braccio il malato, lo porta in disparte dalla folla, quasi a volerlo sottrarre dall’anonimato e chiamarlo a entrare in relazione personale con Lui. Poi tocca le orecchie, per togliere l’ostacolo della sua sordità, e con la sua saliva, come soffio materializzato, gli tocca la lingua, per ridargli la capacità della parola. Quindi alza gli occhi verso il cielo (gesto che Gesù compie sovente), perché ogni buon regalo viene dal Padre della luce, che vuole il bene dei suoi figli, e sospira. Bellissimo questo particolare. Il sospiro di Gesù è il segno del suo coinvolgimento nella sofferenza umana. Gesù piange per la condizione miserevole in cui si trovano gli uomini, come poi ha pianto sulla città di Gerusalemme, incapace di accogliere la presenza di Gesù. Tanto intensa è la sua compassione, che Marco ha conservato intatta l’espressione del grido di Gesù in lingua aramaica: «Effatà», cioè: «Apriti!». É un comando autorevole di fronte al quale si scioglie il nodo che tiene legate le orecchie e la lingua di quell’uomo, il quale diventa capace di ascoltare e di parlare.

Pur avendo ricevuto l’ordine di tacere, la gente non può trattenersi dal divulgare il fatto e raccontare dappertutto quello che Gesù ha compiuto. Gesù agisce con discrezione e non vuole essere conosciuto come colui che compie miracoli e guarigioni. Ma la gente non può far finta di niente. Se il Signore è passato, il suo passaggio non può rimanere inosservato. É bene riconoscere le opere di Dio ed è pure bene il farle conoscere. Chi ha fatto esperienza in prima persona della misericordia di Dio diventa automaticamente missionario. Tacere, in questo caso, equivarrebbe a tradire, e quindi non accogliere e non sentire la spinta interiore che ti porta a rendere grazie a Dio, che è capace di far scaturire acqua nel deserto e trasformare il suolo riarso in sorgente di acqua viva, come abbiamo ascoltato nella prima lettura del profeta Isaia. La sua presenza e la sua venuta hanno il potere di rinnovare la faccia della terra e ridare nuova vita a tutto ciò che sembrava essere stato toccato e rovinato dalla morte, dalla sterilità, dalla impotenza e dall’aridità. Il Signore porta vita nuova a quelli che ama.

L’uomo di oggi ha urgente bisogno di essere chiamato in disparte, di non essere travolto dalla folla, dal chiasso che gli impedisce di entrare nell’intimo di se stesso e scoprire la sua verità, la sua unicità, il fatto che egli riveste una straordinaria importanza agli occhi di Dio. L’uomo, ogni uomo, ha bisogno di sentire e di esperimentare a livello personale che c’è chi rivolge una particolare attenzione a lui, chi lo considera nella sua unicità, nel suo singolare valore, e si prende sinceramente cura di lui. L’uomo d’oggi corre un grande rischio, molto più serio e deleterio che nel passato, che è quello di lasciarsi travolgere dai rumori assordanti del mondo e dalle menzogne che vengono propalate da ogni parte. Tutto questo ha uno scopo ben preciso, quello di manipolare la persona, ogni singola persona, uomo o donna, farle dimenticare la sua vera origine e la sua meravigliosa destinazione, in modo da rendere le orecchie del suo cuore incapaci di ascoltare e accogliere la parola di verità e di vita che Gesù gli ha donato, per renderlo consapevole della sua meravigliosa dignità di figlio di Dio.

Giuseppe Licciardi (P. Pino)