Skip to content Skip to footer

«Guariti per servire»
(Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

           

Davvero potente ed efficace la descrizione che Giobbe ci fa della sofferenza senza speranza che si è abbattuta su di lui e non lo lascia un istante. Le notti sono insonni e non gli resta che girarsi e rigirarsi aspettando la luce del giorno, che tuttavia non reca alcun conforto. Amarezza, senso totale di sconfitta e di impotenza, e sorda rassegnazione sono i sentimenti che fanno annegare Giobbe nella disperazione. Ma resta pure una sottile luce di speranza che si trasforma in umile invocazione: “Ricordati…”. L’unico appiglio che gli resta è Dio ed a Lui affida la sua vita ormai senza speranza. Egli sa nel suo intimo che Dio è ricco di misericordia e tenerezza e può ridargli la sua vita. Questo rivolgersi a Dio come riserva di speranza lo vediamo emergere nel Vangelo di questa domenica. L’inizio di quel sabato nella sinagoga di  Cafarnao era stato indimenticabile. La gente era rimasta impressionata dell’autorità con cui Gesù aveva parlato e dal fatto che anche gli spiriti impuri gli avevano obbedito. In un battibaleno tutta Cafarnao venne invasa da quelle incredibili notizie.

            Uscito dalla sinagoga, Gesù si reca nella casa di Pietro, che gli presenta la suocera che stava a letto ammalata. Gesù si avvicina alla donna. Nessuna parola, solo un gesto molto semplice ma significativo. La prende per mano e la fa mettere in piedi. Di fronte a quel gesto di vicinanza, di profonda empatia, la donna da una risposta sorprendente, perché la prima cosa che le viene da fare è quella di mettersi a servire tutti quelli che si trovavano nella casa. Sembra che il contatto con Gesù le abbia trasmesso qualcosa dei suoi sentimenti. Colui che è venuto per servire vuole che i suoi discepoli comincino a fare quello che lui fa: avvicinarsi agli uomini, ai deboli, ai sofferenti, agli emarginati, agli ultimi della società per farsi loro prossimo. Non sappiamo che tipo di donna fosse la suocera di Pietro, ma sappiamo come ha cominciato a comportarsi, subito dopo essere entrata in contatto con Gesù. Quando si incontra Gesù non si può più rimanere come si era prima. Si deve cambiare. In caso contrario, si indurisce il cuore nell’indifferenza e lo si lascia insensibile nei confronti degli altri.

            La seconda scena avviene nel pomeriggio, all’avvicinarsi del tramonto, quando la gente poteva cominciare ad uscire di casa. Avviene qualcosa di incredibile. La gente di Cafarnao si mette in movimento, portando i familiari affetti da ogni genere di sofferenza, malattia o possessione demoniaca e si presenta alla porta della casa di Pietro, come per un appuntamento. Marco si sofferma nell’osservare la folla che faceva ressa dinanzi a quella casa con tutti gli ammalati. Gesù non ha bisogno di ascoltare nessun discorso per capire ciò che cercano da Lui. E senza perder tempo scende in mezzo alla folla e si intrattiene uno per uno con tutti gli ammalati che sono là, parlando con loro, toccandoli, accarezzandoli, sorridendo, incoraggiando e soprattutto guarendo molti. Questa insistenza di Marco non è senza ragione, perché egli vuole far conoscere chi è Gesù, non a partire da quello che Egli dice di se stesso, ma a partire da quello che Egli fa. Il linguaggio delle opere e dei segni è quello che arriva più immediatamente, è compreso da tutti e soprattutto rivela la persona.

            Al calar della sera ognuno si ritira a casa. Per Gesù è stata una giornata veramente lunga e totalmente spesa ad ascoltare e consolare la gente. Anch’Egli ha bisogno di riposare. Ma prima ancora del sorgere del sole si alza e nel silenzio della notte esce per mettersi in preghiera. Questa è la terza scena, che ci mostra un aspetto essenziale della vita di Gesù: il suo desiderio di stare in diretto contatto col Padre, di immergersi nella preghiera, che diventa la forza che lo abilita a compiere tutte le opere che il Padre gli chiede di compiere. Da questo colloquio col Padre Gesù ne  ricava luce, forza e la gioia interiore di essere in comunione con Lui e di esperimentare la compiacenza del Padre. Il tempo dedicato alla preghiera non è per Gesù a scapito del tempo che dedica alla sua missione di evangelizzazione, che avviene in parole ed in opera di potenza, che hanno lo scopo di rivelare la vicinanza amorevole di Dio. La sua missione, al contrario, scaturisce proprio dalla preghiera e trova in essa continuo alimento e ragion d’essere. La preghiera è la sorgente feconda ogni attività

            Alle prime luci del nuovo giorno, dinanzi alla casa di Pietro c’è un enorme trambusto. Altra gente è accorsa  perché vuole essere guarita. Pietro e gli altri si mettono alla ricerca di Gesù, sorpresi di vederlo fuori, assorto in preghiera. “Tutti ti cercano”. Ognuno pensa a se stesso. Ognuno mette al primo posto le sue personali esigenze, senza prendersi cura degli altri. Per Pietro e gli amici è normale che Gesù risponda assecondando la richiesta. Pietro si sente coinvolto, ed insiste. Ma Gesù, ed è la quarta scena, non si lascia commuovere da quell’insistenza. Anzi insiste che è il momento di andarsene via da lì, perché egli non è venuto per fare il guaritore, ma per predicare il vangelo ed a questo desidera dedicarsi.  Al di là di Cafarnao, ci sono città e villaggi che hanno bisogno di essere raggiunti dalla Sua parola, di percepire che ormai il Regno di Dio comincia a far sentire la sua presenza in mezzo a loro. Quest’ansia di evangelizzare Gesù la comunica ai suoi discepoli. Paolo la sente come una forza interiore che non può frenare: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!”. E noi?

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)