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Volontariato e lavoro di rete: aspetti teorici su punti di forza e di criticità

fare reteDa qualche tempo a questa parte, l’uso dell’espressione “far rete” ha cominciato a diffondersi anche nel mondo del volontariato, per indicare una strategia di lavoro comune tra organizzazioni diverse e volta a “unire le forze” per conseguire obiettivi comuni.

Nonostante questo interesse, il lavoro e l’esperienza di questi anni ci dicono

che tra le OdV:

  • il numero dei soggetti coinvolto in reti stabili è basso;
  • gli obiettivi sono prevalentemente occasionali, così come le forme organizzative di tale collaborazione;
  • la struttura delle reti presenta un basso livello di connessione e di reciprocità e un alto livello di centralizzazione;
  • tale asimmetria produce una sostanziale diseguaglianza tra le associazioni del territorio, poiché le organizzazioni più “forti” tendono a collaborare sempre più frequentemente

con organizzazioni altrettanto “forti”.

In effetti, lo sviluppo del volontariato oggi non sembra favorire la diffusione della cultura e della pratica del lavoro collaborativo: la frammentazione delle OdV, il numero crescente di piccole associazioni e la specializzazione della mission e delle attività sono fenomeni che non facilitano certo l’individuazione di spazi e occasioni di collaborazione.

Come insegna la teoria delle reti sociali infatti, l’incremento del numero dei nodi, cioè dei soggetti che ne fanno parte, rende più difficile il mantenimento della connessione tra i suoi membri e gli sforzi che ogni soggetto deve fare per avviare relazioni con i “nuovi arrivati” non sono “sostenuti” dalle risorse disponibili: di fatto, è molto più facile e conveniente rafforzare le relazioni e la collaborazione già avviate con pochi altri soggetti che si

conoscono e di cui ci si fida.

Non ultimo, è bene non sottovalutare il fattore culturale: il forte radicamento delle organizzazioni sul territorio e il retaggio della competizione ideologica hanno senz’altro rafforzato la indisponibilità e la diffidenza verso altre organizzazioni, spesso percepite

come competitrici rispetto alle attività e all’accesso alle risorse. In questo, la logica dei primi bandi di finanziamento, di tipo competitivo e che non promuovevano la messa in rete delle organizzazioni, non ha di certo favorito

una inversione di tendenza.

Volendo sintetizzare, possiamo evidenziare alcuni fattori che ostacolano il lavoro di rete:

  • il primo, di natura strutturale, si riferisce ai processi di frammentazione che ne caratterizzano l’attuale dinamica di cambiamento;
  • il secondo, di natura culturale, riguarda essenzialmente la presunzione di esclusività in base al quale le organizzazioni ritengono di essere portatrici di elementi di originalità ed unicità che non si integrano facilmente con quelli delle altre organizzazioni e che devono essere conservati integri nel tempo;
  • il terzo si riferisce alla assunzione di inutilità del lavoro di rete, che viene visto come un modo per investire risorse (personali e collettive) in modo non proficuo, senza ritorni che ne giustifichino l’impegno;
  • il quarto si riferisce alla difficoltà, delle organizzazioni di volontariato, ad uscire da una lettura molto “settoriale” dei problemi e ad avvicinarsi a letture dei problemi più trasversali e articolate, “tenendo insieme” dimensioni specifiche e dimensioni più ampie, sociali.

 

Fonte: Programmi di Volontariato al Sud. Riflessioni e spunti sul lavoro di rete 2015