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La crisi in atto

di Francesca Artista –

la crisi in atto

NATURA DELLA CRISI E CARATTERISTICHE ovvero IL CICLONE – LA MANIFESTAZIONE DELLA ROTTURA DI UN EQUILIBRIO

– La crisi manifesta la natura delle dinamiche economiche, sociali, politiche che strutturano un modello: quello del capitalismo post-moderno nel quale il denaro e la produzione di ricchezza si sganciano dai fattori classici di produzione, cioè terra e lavoro. (Panara) …..” Il denaro è sempre stato uno dei motori principali ma il modo in cui veniva fatto, nelle società borghesi e capitaliste che hanno determinato il fiorire del mercato e dell’economia, era essenziale. Oggi invece l’obiettivo sembra essere il denaro “a prescindere “.

Proprio così. Il denaro diviene il “luogo simbolico per eccellenza”, l’avidità un attestato sociale, l’assenza di limiti e di regole un nuovo codice deontologico.

Immagine dell’occhio del ciclone.

Come in un ciclone, che tutto devasta rimanendo immobile ed intatto nel suo occhio, il motore della crisi, cioè la centrale-spirale mercato / finanza, mentre travolgeva e continua a travolgere lavoro, persone, intere economie nazionali, non ha mai smesso di funzionare nel medesimo modo: denaro produce denaro sganciato dai vincoli e dalle regole, con un rapporto patologico con l’economia reale, su cui si scaricano tutte le negatività. La crisi è stata un intoppo nel meccanismo e ne ha manifestato la natura, ma non ha prodotto ad oggi alcuna correzione degli ingranaggi.

 La crisi è l’accumulazione degli scarti del sistema che espelle come rifiuti tutto ciò che gli è superfluo per continuare a restare intatto ed efficiente.

LO SCACCO DEL LAVORO: SCACCO ALLA PERSONA, SCACCO ALLA COMUNITA’.

OGGI IL CORPO DEL DOLORE SOCIALE E’ lL LAVORO ED HA IL NOME E COGNOME DI TUTTE QUELLE DONNE E DI TUTTI QUEGLI UOMINI, GIOVANI, ANZIANI, ITALIANI, EXTRACOMUNITARI, DEL NORD DEL CENTRO DEL SUD CHE  SONO LE MILLE FACCE DI QUELLA CHE MARCO PANARA HA DEFINITO “ LA MALATTIA DELL’OCCIDENTE” E CIOE’ LO SCACCO DEL LAVORO RISPETTO AL CAPITALE.

UNO SCACCO CHE GENERA DISUGUAGLIANZA, POVERTA’ CRESCENTE DEI POVERI ED IMPOVERIMENTO PROGRESSIVO DEL CETO MEDIO, CHE GENERA INSICUREZZA ED INSTABILITA’, CHE GENERA PRECARIETA’, FRAMMENTAZIONE, SFIDUCIA, RIPEGAMENTO, ISOLAMENTO, APATIA, EGOISMO, PAURA, AGGRESSIVITA’, VIOLENZA.

Uno scacco nel quale siamo tutti coinvolti e che la crisi ha aggravato.

 Scrive Panara “Il capitale vince in questa fase storica sul lavoro, e non solo perché il lavoro diminuisce o addirittura scompare ma perché perde valore in sé. Questo è accaduto: anche in presenza di una elevata occupazione il lavoro non ha più un valore adeguato, la ricchezza che il lavoro produce e la quota di ricchezza con la quale viene remunerato non crescono o addirittura diminuiscono e divergono ( mi permetto di aggiungere). (…) Il ruolo, il peso sociale ed il reddito relativo di interi gruppi sociali sono andati declinando. Dagli operai ai bancari, dai medici agli impiegati, milioni di persone hanno vissuto una trasformazione profonda, caratterizzata per alcune categorie da una polarizzazione dell’aumento del reddito in alcune elites ristrette e dallo scivolamento della componente più numerosa nella parte bassa della classe media, verso un maggiore impoverimento.

Sul totale della ricchezza prodotta ogni anno nei paesi industrializzati la quota che ha remunerato il lavoro negli ultimi 25 anni è diminuita in media di 5 punti, mentre la quota che ha recuperato il capitale è cresciuta di altrettanti punti.

All’interno dei singoli paesi, oltre allo spostamento dal lavoro al capitale di quote della ricchezza prodotta, c’è stato un grande spostamento anche all’interno del mondo del lavoro, con l’accentuarsi del divario tra quelle elites, grandi manager, grandi professionisti, brillanti trader finanziari e la massa.”

Credo utile ricordare che questo processo precedette la crisi e l’attacco al lavoro in EUROPA fu prodotto dalla Thatcher in Inghilterra e da Reagan negli Stati Uniti, i quali avviarono la politica neoliberale ispirata ad una scuola di economisti che considerava distorsivo per il mercato qualsiasi intervento sul ciclo economico.

I ricchi dovevano accumulare risorse, reinvestite le quali l’economia sarebbe ripartita. Dunque poche tasse sui redditi alti e obiettivo di compressione dei salari, formando, grazie alla disoccupazione “l’esercito industriale di riserva” che il mai tanto attuale Marx aveva individuato come la condizione nella quale il capitalista ottiene uno scambio vantaggioso sul mercato del lavoro. Ma ci fu un secondo obiettivo più o meno apertamente perseguito, come dimostrò la parallela aggressione al potere sindacale che ebbe nella sfida dei minatori nel Regno Unito e nella precettazione dei controllori di volo negli Stati Uniti l’acme drammatico e vittorioso.

Quanto all’inflazione, partendo dall’innegabile constatazione che essa costituisce un’eccedenza di moneta, gli economisti neoliberali intesero rimediare facendo sparire dalla circolazione quella che proveniva dal credito e attirando il risparmio mediante un rialzo incredibile dei tassi di interesse. E’ da quel momento che il tasso di interesse sostituisce la produttività aziendale come leva dell’economia.

L’altro diretto sostegno che gli Stati democratici hanno reso al capitale è stato quello di aprire nuovi mercati alle imprese private, in nome di una efficienza, smentita dai fatti e quello dell’introduzione di un regime di concorrenza come meccanismo di autoregolazione e di selezione di qualità, smentito anch’esso.

Le privatizzazioni sono il campo in cui i Paesi europei si sono accodati a quelli anglosassoni. Per il resto essi sono rimasti a metà del guado, assolutamente incapaci di elaborare un’alternativa al neoliberismo, rimanendo in una sorta di via di mezzo permanente. Così la guerra di classe che in GRAN BRETAGNA e negli STATI UNITI si è consumata nel giro di pochissimi anni, in EUROPA dura da trenta e si presenta come un lungo assedio al fortino. Un fronte d’attacco sono state le istituzioni comunitarie, appiattite sull’unità monetaria e la convenienza commerciale e a farne le spese i Paesi dell’area sud, che, più deboli, per rispettare i parametri di Maastricht hanno sforbiciato all’ingrosso lo stato sociale. Poi è stata la volta della globalizzazione e della innovazione tecnologica (i processi di automazione, le delocalizzazioni e così via)

Tecnologia e globalizzazione sono i fattori che hanno ampliato, determinato, agito da leva, ma non vi è dubbio che la radice di questa malattia è dentro il cuore della trasformazione del capitalismo postmoderno, nella quale il denaro conta assai più del lavoro.

Lo Stato minimo non è tanto la premessa teorica dell’economia capitalistica, quanto il risultato storico della sua evoluzione. Ma uno Stato minimo non può che proporre un cittadino minimo, denudato progressivamente delle garanzie che si illudeva di avere progressivamente acquisito. Per elaborare la perdita di valore e di garanzie del lavoro, PRIMA DELLA CRISI, il sistema ne ha accresciuto i poteri di CONSUMATORE. Al consumatore il sistema capitalistico ha consentito quello che non consentiva più al lavoratore quando l’urgenza era contrarne il reddito per evitare che appesantisse i costi di produzione e l’inflazione: con il potere di spesa attraverso l’indebitamento. Salvo, all’esplodere della crisi, chiudere brutalmente i rubinetti quando gli operatori economici (banche Stati imprenditori e consumatori ) sono risultati indebitati sino al rischio del default.

La crisi manifesta il punto di non ritorno del compromesso tra democrazia e capitalismo, poiché rompe un equilibrio precario e virtuale e fa esplodere le diseguaglianze con divari senza misura.)

 E le disuguaglianze sono il vero metro di misura della crisi.

(Remo Bassetti- Cosa resta della democrazia) “ SE PROPRIO SI VUOLE “ QUOTARE “ una democrazia non è al reddito pro capite che si deve guardare ma all’indice Gini o uno similare, ossia misurare l’uguaglianza nella distribuzione del reddito.

Gli squilibri del mondo durante la crisi richiedono uno sguardo che ponga sempre attenzione all’origine degli squilibri e delle diseguaglianze.

Nell’interessante libro L’Arca di Noè di Mastrojeni si legge: si stima che nel 2050 ci saranno 9,6 miliardi di essere umani nel nostro pianeta. Non è questo tuttavia il vero problema, la tragedia è che NUTRIAMO UN SISTEMA che vorrebbe fare giocare a tutti il modello consumistico in espansione. La Terra potrebbe sostenere quasi dieci miliardi di abitanti se vi fosse un’equa distribuzione delle ricchezze, Tuttavia come disse il Mahatma Gandhi- “Madre Natura è sufficientemente generosa per provvedere al bisogno di tutti ma non all’avidità di pochi”. Abbiamo quindi ragione di preoccuparci seriamente poiché siamo dinanzi ad un sistema che ha fatto dell’avidità il proprio motore”.

 Questa crisi non è un tunnel, è una straordinaria e drammatica terra di frontiera tra un nuovo possibile modus vivendi ed un modo che ci fa a pezzi e rispetto al quale nessuno si salva.

 Neanche le oligarchie straricche, gli ottantacinque più ricchi del mondo, poiché la favola di Re Mida è una metafora che vale oggi come ieri.

Il dono di trasformare tutto in oro genera morte. Morte fisica e morte dell’anima. Morte, cioè, di quel di più dell’essere CHE RENDE POSSIBILE la RELAZIONE DI DIGNITA’ e RISPETTO UMANO, LA SOLIDARIETA’, LA POSSIBILITA’ di FARE COMUNITA’, di DOTARSI di VALORI CONDIVISI E DI REGOLE alle quali connettere la responsabilità individuale e richiamare quella collettiva. 

Il denaro che più del lavoro sembra essere diventato la via per proteggere il proprio status, per mantenere un alto tenore di vita almeno individuale, in realtà precarizza le conquiste individuali, erode certezze, individualizza le persone.

 Mentre il lavoro come valore, progetto o realtà della propria persona è socializzante, il patrimonio (il denaro cioè) anche solo come valore e progetto è individualizzante.

PRECARIZZAZIONE ECONOMICA – NEO INDIVIDUALISMO – TRAMONTO DEL FUTURO – RITORNO  DI NEO CORPORATIVISMI E RAZZISMI

In questo affermarsi spasmodico ed esclusivo dell’individualismo i valori collettivi sono divenuti più fragili, la stessa idea di progresso ha subìto mutamenti ed è stato falsato il rapporto con il futuro: dalla precarizzazione economica al rapporto precario con il futuro il passo è breve, ed immediata scatta la difesa individuale o corporativa dello status quo.

Le società sono divenute così più conservatrici, La politica più populista – con il suo bisogno di leader seduttivi e di parole d’ordine accattivanti – ed il processo di costruzione del consenso per innovare, per ricreare le condizioni del progresso, trova il suo ostacolo nelle lobbies più potenti e che assorbono sempre maggiori quote di ricchezza, ma anche nel conservatorismo o nel populismo arrabbiato di larghi strati di società impoverita, che nell’insicurezza  esprimono paura e chiusura, fanno esplodere il loro disagio senza costrutto e senza prospettiva.

La perdita di valore del lavoro è la perdita della radice della pianta sociale, ma anche della stessa comunità civile, politica; l’art. 1 della nostra Costituzione negato nei fatti  è la ferita aperta in Italia nel cuore del suo fondamento democratico.

Siamo in una fase della crisi che proprio intorno al lavoro ha superato il livello di guardia.

 Non i DATI della POVERTA’, ma la povertà è sotto gli occhi di tutti noi ogni momento.  la povertà apre spazi ulteriori per l’emarginazione e la criminalità, si è abbassato il livello di legalità, incoraggiato da una devastante subcultura dell’illegalità, dell’arbitrio, della furberia, del senso di colpa che scivola sull’assoluzione e fugge la responsabilità.  Lo Stato deve tornare ad esserci e a svolgere una funzione decisa, forte, di controllo e di vigilanza. Nel sud ed in Sicilia la prima risposta alla crisi deve ridare verità e serietà all’ economia che può fare a meno della mafia.

L’egoismo, difensivo, rende sempre più difficile fare scelte nell’interesse generale, si guarda agli altri come rivali, competitori, nemici. La competizione per fette di una torta sempre più piccola tende a creare meccanismi nei quali prevale l’esclusione dei nuovi arrivati, degli altri, dei “ diversi”. Il razzismo trova terreno fertile ed è facile instillarne i semi in persone che temono per il loro tenore di vita, per il loro lavoro.

La paura è un sentimento facile da coltivare e il modo più semplice per rendere meno dolorosi i propri mali è attribuirne la responsabilità agli altri ( femminicidio).

LA DISEGUAGLIANZA, LE DISEGUAGLIANZE sono il primo terreno su cui è indispensabile intervenire per salvarci da una deriva senza ritorno.

EUROPA POLITICA E DEI POPOLI  E L’EUROPA DEL FISCAL COMPACT.

L’ Europa politica e dei popoli deve ripartire proprio dalle leve economiche perché agiscano per ridurre gli enormi squilibri e le diseguaglianze generate dalle scelte di rigore e dal primato dei tagli operati senza adeguate contromisure che favoriscano la ripresa. Il vincolo del pareggio di bilancio ( FISCAL COMPACT ) già esisteva,  ma era largamente disatteso e non sanzionato; la vera novità del provvedimento approvato in Europa nel marzo 2012 è costituita dall’obbligo per i Paesi contraenti di inserire la “regola aurea“ nel proprio diritto interno e “preferibilmente a livello costituzionale”. In Italia  l’articolo 1 della legge costituzionale n.1 del 2012 ha modificato l’art 81 della Costituzione e troverà applicazione a partire dall’anno in corso.

Freno alla gestione allegra delle finanze pubbliche ed al tempo stesso agente di effetti recessivi sulle economie più deboli, il fiscal compact ha acquisito in questi tempi della crisi un valore simbolico, il simbolo di una unità delle monete che strozza lo sviluppo di intere economie nazionali, specie del sud dell’Europa ed aggrava la crisi (ricordiamo anche I limiti del 3% del PIL  per il deficit e del 60% del PIL per il debito).

Non siamo da soli a pensarla così. I premi Nobel per l’economia Kenneth Arrow e Peter Diamond, in un appello al presidente Obama hanno affermato, riguardo al vincolo del pareggio: “è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio  troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per   raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole”. Critico anche l’economista Krugman, il quale ritiene che l’inserimento in costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla DISSOLUZIONE DELLO STATO SOCIALE.

L’ITALIA: “ ahi serva Patria di dolore ostello………

  In Italia a ciò si aggiunge l’enorme responsabilità delle istituzioni, delle oligarchie economiche e finanziarie, dei governi e del ceto politico nell’avere consapevolmente ignorato e tradito questo Paese, con una ignavia dolosa sul bene comune ed uno sperpero del denaro pubblico che rende quasi eroico il recupero dei pochi margini rimasti anche in sede europea, margini economici s’intende, non politici.

Ed il recupero di questi margini grava su quello che ho chiamato il CORPO DEL DOLORE DI QUESTO PAESE: lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati.

Un corpo troppo gracile per sopportare un masso il cui peso non smette di aumentare anche grazie all’evasione ed alla elusione fiscale.

Secondo l’Istat l’imponibile sottratto al fisco si aggira ogni anno intorno ai 275 miliardi di euro ed il cappio dei vincoli europei si aggiunge al cappio della strutturale deriva economica. Un dato tra tutti: 704 milioni di ore di Cassa Integrazione autorizzate nel periodo gennaio- agosto 2013 ( fonte INPS ), ad agosto cig +12,4%, aumento la cassa integrazione straordinaria ed in deroga.

Per questo il confronto con l’attuale governo ed il giudizio devono soprattutto ed unicamente misurarsi sul merito sapendo che la gente, prima che gli interlocutori più avvertiti, ha un bisogno che domina tutto il resto: vedere e toccare concretamente un cambiamento che dia ai salari ed alle fasce più basse, alle pensioni, ai giovani e a coloro che non hanno più prospettive né di lavoro, né di risposte sociali, strumenti e soluzioni. Un cambiamento, cioè, che dia sollievo.

Comunque la si pensi su Renzi e sul suo governo sappiamo fin troppo bene che siamo talmente tanto in un deserto senz’acqua e senza oasi in vista che pure una piccola goccia di acqua piovana porta refrigerio e fa pensare che non è finita.

Ma al di là degli annunci e degli spot, al di là dei luoghi comuni, da dove può ripartire il lavoro in questo Paese?

Come può la leva fiscale intervenire ulteriormente promuovendo lavoro ed investimenti? Le soluzioni proposte dal Governo Renzi rappresentano un vero avvio? Se non altro esse interrompono nell’immaginario collettivo una lunga fase di sabbie mobili e di tempi infiniti di attesa generate dalle politiche dei governi precedenti, ma hanno fondatezza e basi di fattibilità?

Riguardo all’offerta del lavoro, la domanda di lavoro, il funzionamento del mercato: come ripartiamo se l’unica leva sempre riconosciuta ed agita strumentalmente è il costo del lavoro? ESSA E’ LA PIU’ FACILE E DIRETTA, MA E’ COME SE PER CURARE UNA PIANTA SE NE TAGLIASSE LA RADICE.

Formazione, istruzione, ricerca, lavoro e qualificazione dei nostri giovani, il diritto sociale allo studio e la visione della competizione internazionale bisogna che divengano un’ unica scelta strategica economica e politica per darci l’unica possibile – per noi – strada di uscita dal cappio della crisi, che non è solo lavoro comunque, con lo scambio ormai dilagante tra occupazione e salario, occupazione e diritti, ma è lavoro di qualità, lavoro con dignità e che ricrei dignità.

Le istituzioni di governance nazionali ed europee e gli organi di vigilanza soprattutto sui mercati creditizi e finanziari e sui soggetti che vi operano probabilmente devono orientare la loro funzione ed il loro ruolo per promuovere la ripresa a partire dal lavoro, prima che sugli altri fattori, mirando a porre le basi nel medio e non nel breve periodo.

DEMOCRAZIA: QUALE?

Come ha scritto John Dunne abbiamo scelto “dall’intera storia precedente del linguaggio umano questo unico sostantivo greco, a lungo così calpestato per portare questo enorme peso di speranza e impegno politico”. Per dirla come Remo Bassetti, nel bel libro “Cosa resta della democrazia”, forse proprio la consapevolezza che la democrazia fosse il sistema politico meno peggiore di tutte le altre forme sperimentate nella storia ci ha reso nel tempo così pigri da lasciarne appassire contenuto e modi, al punto che, in un momento storico in cui tutti si proclamano democratici, la democrazia è ormai a uno stato larvale, svuotata di significato e obbiettivi. La libertà privata per lo più identificata con quella economica è diventata il vero cardine del regime politico in cui viviamo e ne ha assorbito l’identità. Al distacco dei cittadini dalla vita pubblica si aggiunge lo spento rituale delle procedure politiche che i finti cantori della democrazia hanno ridotto e manipolato, tracciando strade che il web ha la tendenza a ripercorrere anziché cambiare. D’altra parte quello che è oggi il tentativo più radicale di ricondurre la democrazia all’autogoverno – il movimento dei grillini – finisce talvolta per coincidere con dinamiche autoritarie e persino con l’auspicio dello “Stato-minimo”: lo stesso concetto neoliberista che alla democrazia ha dato il colpo di grazia.

La crisi ha travolto i concetti di libertà, eguaglianza e giustizia.

La crisi economica ha abbattuto l’utopia della libertà per tutti, l’enorme montagna di ingiustizie ci spinge prima che a chiederci ed a capire ciò che è giusto, ciò che non lo è: le persone senza casa, quelle senza lavoro; lo sfruttamento della manodopera sino alle nuove schiavitù del caporalato specie nel mondo degli immigrati, ma non solo; le ricchezze sproporzionate dei manager; la disuguaglianza delle donne e la violenza come risposta alla paura di perdita di dominio e controllo su di esse; l’avvelenamento dell’aria e della terra.

LA VERA CRISI DI LEGITTIMITA’ che sta investendo la democrazia è questa: l’incapacità di incidere sull’ingiustizia sociale. E’ nel contenuto, prima che nelle procedure.

Le procedure democratiche non si limitano a manifestare indifferenza verso la giustizia, ma in qualche modo la contrastano; esse sono infatti tecniche volte a produrre accordi e dunque tendenti a rimuovere come superfluo ogni contenuto (anche  giusto) che non sia sostenuto da un consenso ampio.