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15 Settembre 1993: Padre Pino Puglisi viene ucciso dalla mafia

Il 15 Settembre del 1993 veniva ucciso dalla mafia Padre Pino Puglisi, beatificato il 25 maggio del 2013, prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa, al quale Papa Francesco, nella sua visita a Palermo del 2018, rese omaggio in una messa, a 25 anni dall’assassinio, quando disse  che “Chi è mafioso non vive da cristiano perché bestemmia con la vita il nome di Dio”, e richiamando all’esempio di don Puglisi che non “viveva di appelli anti-mafia, ma seminava bene, tanto bene”.

Di seguito un ricordo della sua figura:

(Vincenzo Lumia) «Tre P (Padre Pino Puglisi), così lo chiamavano i suoi ragazzi, viene ucciso per ordine della mafia la sera del 15 settembre del 1993, proprio il giorno del suo 56° compleanno.
Perché ad un uomo veramente buono, dolce, sereno viene riservata una fine così spietata, utilizzata per colpire i più pericolosi e odiati nemici? Chi era Don Pino e che cosa faceva per meritare una condanna ed una esecuzione “esemplare”, secondo il più classico dei copioni mafiosi?
Padre Puglisi era un sacerdote che della sua missione presbiteriale aveva esaltato la dimensione educativa a tal punto da aver “osato” innescare, in chi incontrava e nei ambienti dove operava, autentici processi di cambiamento tanto sul piano esistenziale e religioso, che su quello sociale, culturale e politico.
Innanzitutto con il suo modo di essere, di comunicare, di accogliere, di entrare in relazione… e poi con la sua capacità progettuale ed operativa: Don Pino sapeva coniugare – immediatamente, naturalmente – la mitezza e la generosità con la chiarezza delle parole e la fermezza dei comportamenti. Aveva una vita spirituale così intensa da potervi attingere le risorse e le energie indispensabili per raccogliere con amore, determinazione e coraggio le sfide delle tante miserie morali e materiali che costantemente gli si presentavano.
Soprattutto nella sua parrocchia di Brancaccio, una borgata palermitana ad altissima densità mafiosa, aveva avviato un’azione pastorale ed educativa ben lungi da un tipo di mentalità e di pratica religiosa che distinguono nettamente fede e vita, elemosina e diritti, annuncio evangelico e promozione umana; non c’era più spazio per feste patronali gestite dai boss, per costosi giochi d’artificio, per gli ori sui simulacri… per un vangelo recitato fuori dallo spazio e dal tempo, utilizzato per consolare e dare rassegnazione, funzionale allo “status quo”.
Nel quotidiano, attraverso iniziative semplici, a misura di tutti, Padre Puglisi sapeva far coniugare il Vangelo con le situazioni concrete, con le vicende della vita reale di ciascuno; aiutava le persone, i giovani principalmente, ad aprire gli occhi, a comprendere cause e responsabilità; a vivere una fede “incarnata”, che sa inquietare ed impegnare, condannare i soprusi, invocare dignità e giustizia, affrancare dal bisogno, far alzare la testa.
Don Pino riusciva a promuovere consapevolezza, spirito critico, partecipazione responsabile, senso di comunità; chiedeva scuole, servizi pubblici, diritti per tutti. Con serenità e intransigenza denunciava i privilegi dei pochi, la corruzione, il clientelismo, il malaffare, le sopraffazioni e i tanti egoismi. La sua opera educativa era volta alla promozione integrale delle persone – degli ultimi soprattutto – attraverso una feriale, costante, capillare azione di formazione delle coscienze, dei cuori, delle menti e la promozione di un impegno collettivo che utilizzava la vita sociale dei quartieri, della borgata.
Quel che gli stava principalmente a cuore era che ai ragazzi, ai giovani non mancassero gli strumenti di crescita culturale e spirituale per essere in grado di trovare – nella legalità – le strade concrete, idonee a risolvere i problemi della collettività e a soddisfare le esigenze personali senza svendersi alla logica del clientelismo, della corruzione, della mafia. Piccoli e grandi andavano prendendo coscienza che l’ignoranza ed il degrado erano la causa principale della loro sudditanza e del potere, della ricchezza di “quelli che contano”, degli “uomini d’onore”… da qui l’importanza di socializzare il territorio, di pretendere dalle autorità scuole, presidi sanitari, palestre, il risanamento degli edifici degradati e ridotti a covi per attività illecite.
Non era più il tempo della rassegnazione e della paura, della chiusura in una pratica religiosa disincarnata e consolatoria, dell’attesa inoperosa, della sterile lamentazione.
A Brancaccio, il luogo in cui tutto ciò si rendeva “visibile” era il Centro Padre Nostro, fortemente voluto da Tre P perché ciascuno potesse recuperare il significato più vero di quel “nostro”, in opposizione a “cosa nostra”, realtà violenta, malvagia. Egli voleva creare nuove relazioni di comunità, di solidarietà per una compagnia basata sulla riscoperta di una fraternità che scaturisce da un’unica figliolanza… Padre nostro: non più una preghiera “recitata” senza coglierne tutte le conseguenze, ma “vissuta” con la consapevolezza delle responsabilità che ne derivano.

Con Padre Pino – a Brancaccio e in tutte le realtà dove egli era stato – fare educazione, evangelizzazione non era più omologare ad un sistema sociale e religioso che consente una pacifica convivenza tra forme di religiosità tradizionale e mentalità, linguaggio, atteggiamenti mafiosi… ma significava trasformazione di menti e di cuori, sfida all’antistato e ai poteri criminali, messa in discussione di un “ordine” costituito. Il teorema del quieto vivere e del convivere con la criminalità organizzata era stato inficiato e un sistema collaudato di malaffare, oppressione, violenza, sottomissione, omertà… era stato destabilizzato dalla profonda umanità, cultura e spiritualità di un uomo, di un prete minuto, disarmato. Troppo eversivo, troppo pericoloso… allora, perché tutto potesse tornare come prima… era necessario che Don Pino morisse!
Soltanto che non erano stati fatti i conti con quel sorriso così genuino e disarmante che don Pino non aveva smesso neanche di fronte alla morte. Un sorriso che andava dritto al cuore… e chiamava a novità di vita. Fu così anche per il suo assassino!»

Testo pubblicato sul numero 2 – 2006 di Scuola Italiana Moderna
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Se ognuno fa qualcosa
“Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno.
Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio.
Questa è un’illusione che non possiamo permetterci.
E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.
Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa.
E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”.

(Padre Pino Puglisi)

Le parole e i fatti
“E’ importante parlare di mafia,
soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa,
che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi.
Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste.
Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole.
E le parole devono essere confermate dai fatti”.

(Padre Pino Puglisi)

Per approfondire:
CONVEGNO “TESTIMONI DI FUTURO”… Padre Pino Puglisi e l’educazione alla legalità.
figura guida: Don Pino Puglisi.pdf
Padre Pino Puglisi.pdf