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Dunque, la Buona scuola è legge.

scuola_bene_comune(Mirella Arcamone) – Non facciamo in tempo a scriverlo, che già viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale un’improvvida richiesta di referendum abrogativo dell’intero provvedimento per il quale si raccoglieranno le firme entro settembre. Non è una buona mossa, e già il movimento si divide, poiché i grandi motori della protesta e della proposta alternativa (le 32 associazioni di “La scuola che cambia il Paese”, tutti i sindacati, la rete nazionale dei comitati per la LIP) concordavano per una risposta pensata insieme, dura ma articolata, estesa nel tempo, efficace ed unitaria, volta anche a proporre un’idea condivisa di società, oltre che di scuola (vedi Comunicato finale delle 32 associazioni).

Ma sono due segnali di disagio e problematicità, dati che esemplificano con immediatezza la storia conflittuale di una legge che il mondo della scuola ha avversato in ogni modo e che il governo, pur essendosi dichiarato disposto ad ascoltare, ha accettato di far modificare solo molto parzialmente nei passaggi alle Camere. Due forzature: da un lato, il bisogno dell’esecutivo di chiedere il voto di fiducia al Senato – segno di debolezza e consapevolezza che la legge non convinceva, non solo ampi settore del Paese, ma anche una parte dei Parlamentari della stessa maggioranza; dall’altro una reazione di pancia, quasi isterica (o forse solo strumentale all’acquisizione del consenso), incapace di attendere e pensare insieme, mantenendo unito un fronte davvero ampio di resistenza ad una legge considerata antidemocratica e unito in punti chiave di una proposta alternativa (si veda il primo documento delle 32 associazioni: “La scuola che cambia il paese”).

Ora la sensazione che prevale nelle diverse componenti è lo spaesamento. Assunzioni scaglionate che non consentiranno di partire ad organici completi e che mandano in confusione i precari appartenenti alle diverse categorie. Le prime incombenze delle scuole con l’elezione del comitato di valutazione (nel quale incredibilmente saranno inseriti, non docenti esperti o tecnici della didattica con esperienza universitaria, ma, insieme a due insegnanti ed un ispettore, due genitori, o un genitore e uno studente) e poi con una velocissima elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa. E già basta questo a mettere scompiglio. Un POF che durerà tre anni, da cui si indurrà l’organico funzionale (ovvero il numero e il tipo di docenti, tecnici e collaboratori di cui la scuola necessita), i criteri per l’attribuzione del merito e quindi della retribuzione aggiuntiva (in gran parte nelle mani del preside), per la scelta dei collaboratori del Dirigente, per la valutazione del personale e del sistema. Insomma, un documento decisivo per la vita della scuola per i prossimi tre anni, la cui elaborazione è faticosamente tornata (grazie ai passaggi parlamentari) nelle competenze degli organi collegiali (e non del solo Dirigente, come inizialmente si prevedeva), in una struttura e con finalità e modalità completamente nuove, dovrà essere elaborato in meno di due mesi. E, invece, è probabilmente questo il luogo in cui massimamente si potrebbe esprimere la collegialità, la democraticità, la reale rispondenza ai bisogni dei ragazzi, del territorio, una seria progettualità, gli spazi di collaborazione, la programmazione dell’uso delle risorse. Non solo i docenti, il personale, gli studenti, i genitori, ma anche i Dirigenti esprimono serie preoccupazioni per la fretta di approvare e la genericità di molti passaggi della legge, di cui non si è accuratamente valutata la ricaduta. Da questo punto di vista, si potrebbe attenuare il danno con una legge (è nelle deleghe trattenute dal Governo) che potenzi le competenze degli Organi Collegiali (Collegio-Cosiglio docenti, Consiglio d’Istituto).

 Chi scrive ha già espresso su questo sito i propri dubbi nel merito e sul metodo.

Rimangono molte perplessità nei confronti di una legge che voleva sanare, completare, il percorso interrotto dell’autonomia scolastica (drasticamente interrotto dai tagli sconsiderati dei governi precedenti) e finisce per mortificarne le parti migliori, concentrando il potere nelle mani di uno solo, svalutando proprio la democraticità, la corresponsabiltà, la collegialità,  la cooperazione.

Una legge che non sposta sulla scuola le risorse necessarie, che non valorizza, se non a parole, la professionalità docente, il lavoro in team, la ricerca come metodo e come fine dell’insegnamento,   l’apprendimento permanente; che non estende l’obbligo scolastico a diciotto anni, che lascia la scuola media nel suo oblio di buco nero del sistema, che non ripristina realmente (perchè non investe un soldo) le classi a tempo pieno, le compresenze, le classi con numeri dignitosi; che non consente realmente di diversificare nel gruppo classe, che lascia un vuoto preoccupante su come interpretare l’alternanza scuola-lavoro. Che – pur scrivendolo, non assegnando fondi relativi – non dà reale autonomia, ma anzi, forse, ingabbia ancor più le singole istituzioni.

 Sta ora al mondo della scuola di trovare gli spazi di migliore interpretazione possibile, di resistere alla spinta aziendalista che può ingenerarsi, alla competizione dentro e tra le scuole che facilmente sorgerà per accaparrarsi il poco a disposizione; di mantenere spazio alla contrattazione come luogo democratico. Sta alla società spingere la politica ad un’attenta osservazione, ad un monitoraggio degli effetti, ad un controllo ed accompagnamento forte e pensato durante l’elaborazione delle Leggi Delega. Sta ai costituzionalisti valutare gli aspetti più dubbi delle legge (libertà d’insegnamento, chiamata diretta da parte del Dirigente…). Ed in modo pensoso si valuterà anche il senso, i modi, i tempi di un referendum.

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La “buona scuola” è legge. Che cosa c’è, che cosa manca?  (A cura del Movimento Studenti di A.C.)