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L’ Assistente nazionale del Mieac agli aderenti

Cinque capisaldi dell’educazione,  alla luce del libro del Siracide

 (don Luigi Vitale) “È motivo di grande gioia per me rivolgere a tutti gli aderenti al Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica, a cominciare dai membri dell’equipe nazionale, questo indirizzo di saluto e, ancora, un ringraziamento per l’accoglienza sperimentata in occasione della recente nomina ad assistente ecclesiastico del Mieac. Così come saluto con affetto e ringrazio tutti gli assistenti che, con dedizione e impegno, accompagnano i gruppi diocesani che spero presto di poter incontrare e conoscere personalmente.

Partendo dalla considerazione che il nostro Movimento pone al centro dell’attenzione la questione educativa col duplice intento di informare il servizio educativo di valori evangelici e, al tempo stesso, necessariamente, di alimentare la crescita spirituale dell’educatore, penso che specifico compito di un assistente sia aiutare soci e socie a ri-centrare continuamente il loro impegno/servizio sulla traccia della Parola di Dio e sulla testimonianza di Cristo, anzi, direi meglio, sulla Sua persona.

L’Azione Cattolica mira a formare un laicato attivo e competente nella Chiesa e nel mondo affinché renda presente e sperimentabile la potenza dell’amore di Dio che libera e salva, così più specificamente nel Mieac desideriamo e ci impegniamo affinché in ogni insegnante, educatore, animatore, genitore e qualsivoglia familiare dedito a formare le giovani generazioni, sia visibile e sperimentabile, come trasparendo in filigrana,  la ferma autorevolezza, l’amorevole tenerezza e la luce gentile della sapienza di Cristo Maestro.

A tal proposito ho scoperto assai utile e proficua una lettura meditata di un libro biblico che, in questa fase sapienziale del cammino sinodale delle chiese in Italia, ci è stato proposto all’attenzione: il libro del Siracide.  Approfitto della circostanza per condividere qualche spunto di riflessione emerso dalla lettura del libro, fatta appunto in questo orizzonte di senso, ossia la trasmissione di una “sapienza” che non sia semplicemente frutto di esperienze umane ma quella che viene da Dio e che è poi, in ultima analisi, Cristo stesso, sapienza incarnata.

Il testo presenta l’insegnamento di un maestro, il cui nome è Yeshu’a ben Sira (Gesù!), che all’inizio del II secolo a.C. a Gerusalemme raccoglie e mette per iscritto il suo insegnamento perché le giovani generazioni possano avvalersi della sua esperienza, essendo egli giunto al termine della sua vita, nella sua piena maturità. Il lettore sarà aiutato a comprendere non solo pericoli, errori e peccati, a non inciampare nella presunzione e nel narcisismo, ma anche a scoprire il valore della scelta di voler essere discepoli del Dio altissimo.

Egli osserva la realtà del suo tempo in un periodo in cui i costumi e il pensiero ellenistico dilagavano favoriti da buona parte della classe dirigente; a questi nuovi stili di vita ormai dai più accettati, egli oppone tutta la forza della tradizione: la sapienza della rivelazione biblica è una sapienza autentica, che non teme confronti con la cultura dominante in quel momento. È una sapienza perenne, stabile, immortale.

Mi è sembrato di poter individuare 5 capisaldi dell’insegnamento del Siracide che trovo di grande utilità:

  1. Educare significa insegnare l’arte di saper gustare le cose: la sapienza, come anche Dio, come la verità, va cercata. Va cercata in profondità, occorre impegno e fatica, non smarrirsi nella prova. Ma alla fine ti permette di “gustare” ogni cosa così come una buona pietanza o una bevanda, di saper godere della bellezza e del valore delle cose, di saper apprezzare e stimare la natura così come un’opera d’arte, la tenerezza di un abbraccio e il sorriso di un bambino. Resistere dunque alla tentazione della superficialità, dell’apatia intellettuale. Imparare l’arte di vivere in pienezza, andando fino in fondo, guardando con attenzione, sempre umili e sobri.
    Avere sempre a mente quella perla di sapienza divina seminata in noi, che ogni giorno rischia di essere occultata dalle macchinazioni del nemico che ci spinge verso altri orizzonti. “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2, 1).
  1. Educare implica la necessità di lasciare liberi: in tempi di confusione e di cambiamento per il dilagare dei costumi e della mentalità greca, Yeshu’a ben Sira offre una grande lezione di libertà. “Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la mano” (Sir 15,15-16). L’impegno educativo mira a creare nell’altro uno spazio di libertà e saperlo rispettare. La libertà umana è voluta da Dio, Egli ci lascia in balìa del nostro volere (Sir 15,14); ha voluto rischiare: investe, si fida, rilancia (cf. la parabola del fico sterile, Lc 13, 6-9). La libertà è un elemento essenziale, perché chi è educato possa rispondere liberamente alla propria vocazione e al progetto originario di Dio. Nel metodo educativo è insito che si cresce più per attrazione ed emulazione che per imposizione.
    “Se vuoi”…  va lasciata la libertà di accogliere i consigli perché sono “cordialmente ragionevoli”. La sapienza ci conduce all’adesione volontaria e libera; un consenso amoroso.
    Ovviamente, per lasciare la libertà è necessaria la possibilità del male con tutto quello che ne consegue. La nostra indole, l’inclinazione, è neutrale: può essere per il bene o per il male. Ma questo non lo decide Dio, lo decidi tu! (Sir 15, 11-12).
  1. Educare significa insegnare a guardare la realtà per quello che è, avere una visione chiara di se stessi, del mondo e della storia. Lo sguardo dell’autore spesso è di cruda obbiettività: “Se il ricco vacilla è sostenuto dagli amici, ma il povero che cade è respinto dagli amici. Se il ricco sbaglia ha molti difensori, se dice sciocchezze lo scusano. Se sbaglia l’umile lo si rimprovera; anche se dice cose sagge, non ci si bada” (Sir 13,21-22). La lettura sapienziale della realtà sa vedere il bene, la sua radice messa da Dio nel nostro cuore, e il male con le sue macchinazioni. Ma il maestro sapienziale, contemplativo (della realtà), sa riconoscere la presenza di Dio anche nelle cose brutte che accadono, ha imparato a saper togliere le sovrastrutture che nascondono la verità dentro di sé e negli altri. Insegna a saper guardare in faccia la tentazione quando arriva, non di spalle. Egli sa che la plasmazione dell’uomo è lenta perché deve coinvolgere tutto: mente e cuore, volontà e spirito, abitudini e stile di vita; bisogna procedere per piccole ma ferme decisioni che, giorno per giorno, formano il saper vivere. Il futuro dipende dal presente, dalle decisioni di oggi.
  2. Educare è anche saper indicare la necessità della disciplina. Il percorso della vita è contornato di prove: né lamentarsi né essere spavaldi, ma sottoporre il proprio percorso alla disciplina che educa, corrobora, prepara alle prove è principio di sapienza. È il metodo dell’apprendistato, che esige una perseveranza “alla cieca”, senza cioè voler vedere subito i risultati. Gli sciocchi vogliono tutto subito: “Quanto è difficile per lo stolto la sapienza! L’insensato non vi si applica, per lui peserà come una pietra di prova e non tarderà a gettarla via” (Sir 6, 21-22). La sapienza chiede di saper accettare la correzione, la mortificazione, diverse privazioni e tanto tanto esercizio: “Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi e il tuo collo nella sua catena. Piega la tua spalla e portala, non infastidirti dei suoi legami” (Sir 6, 24-25). Sembrerebbero indicazioni di altri tempi e invece no, considerando il proliferare oggi di allenatori/guide (oggi si chiamano coach, trainer o influencer) per ogni attività. Occorre solo decidere a chi sottoporsi. “Prendete il mio giogo sopra di voi…” dice Gesù (Mt 11,25). Si tratta, dunque, di saper ben scegliere e, poi, perseverare: “Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei, il tuo piede consumi i gradini della sua porta” (Sir 6, 36).
  3. Educare è, infine, rendere le persone capaci di rapporti umani cordiali, improntati alla misericordia e alla pace, pieni di rispetto e di custodia della dignità altrui, a cominciare dall’ambito familiare, la casa (i genitori) fino a quello pubblico, la piazza (i bisognosi). La dedizione ai poveri, in particolare, sarà la testimonianza più efficace di un cuore saggio, che conosce il percorso che, dall’essere figli, conduce ad essere padri e madri gli uni per gli altri. La “galleria dei ritratti” degli uomini illustri (Sir 44-50) posta alla fine del libro, ci dice che non siamo soli in questo cammino ma che ogni esistenza spesa nell’amore per Dio e per il prossimo diventa davvero immortale.

Nel concludere queste riflessioni, mentre ringrazio don Enzo Appella, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, le cui conversazioni ne hanno offerto lo spunto, riprendo quanto inizialmente accennavo: tutti noi, discepoli del Signore Gesù coinvolti a vario titolo nell’impegno educativo, sentiamo fortemente la responsabilità e la chiamata a trasmettere una sapienza che renda le giovani generazioni capaci nell’arte di vivere in maniera autenticamente umana; una sapienza che il mondo ha disprezzato e sembra voler escludere da ogni orizzonte culturale ed esistenziale: la sapienza che viene da Dio.  Considero davvero notevoli le somiglianze tra i tempi del Siracide e i tempi nostri, in cui è evidente il disorientamento e la “perdita del centro” per dirla con Sedlmayr, il quale già alla metà del secolo scorso, esaminando i fenomeni artistici, vaticinava la scomparsa della realtà divina dall’orizzonte umano che si traduce ipso facto nella perdita di senso della vita umana. Uomini e donne, esseri posseduti da una passione e da un desiderio di Assoluto, ridotti a un agglomerato di dati, pilotabili, modificabili, manipolabili, condizionabili, vendibili, acquistabili … è la disumanizzazione della ideologia “dataista”, teorizzata da Y.N. Harari, perseguita da oligarchie spietate di poche persone che per puro profitto sono pronte a distruggere il pianeta e l’umanità.  L’alternativa, unica, che abbiamo per evitare che gli uomini, pensati e trattati come flusso di informazioni, arrivino un giorno ad affidare agli algoritmi le decisioni più importanti della vita è, dunque, ri-centrare l’umano su Dio, mantenere aperto quel canale di comunicazione verticale, svelare la menzogna, anzi, l’incubo, di un’umanità che pretende di auto-costruirsi e che sta rischiando invece, proprio per questo, di auto-distruggersi.

Se, dunque, il tema di quest’anno associativo Mieac 2023/24 è “custodire”, abbiamo certamente la responsabilità e la missione anzitutto di custodire e trasmettere la sapienza divina, racchiusa nella Parola di Dio e nella santa Tradizione della Chiesa, l’unica che può farci riscoprire nuovamente il nostro essere “umani”, ossia spiriti liberi, incoercibili, creativi, figli di Dio che nessun potere né politico, né tecnologico, né religioso male inteso, può schiavizzare.  Una sapienza di cui riappropriarci e da annunciare, come Chiesa, in maniera perentoria, netta, convincente, felice, allegra, poetica, potente, non-violenta, minoritaria …”. martiriale.