1 gennaio 2023

56a Giornata Mondiale della Pace

Messaggio di Papa Francesco

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

 

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze.Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al “giorno del Signore”. Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cfr Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

 Francesco




Natale 2022

Natale 2022

Messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, buon Natale!

Il Signore Gesù, nato dalla Vergine Maria, porti a tutti voi l’amore di Dio, sorgente di fiducia e di speranza; e porti insieme il dono della pace, che gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).

In questo giorno di festa volgiamo lo sguardo a Betlemme. Il Signore viene al mondo in una grotta ed è adagiato in una mangiatoia per gli animali, perché i suoi genitori non hanno potuto trovare un alloggio, malgrado per Maria fosse ormai giunta l’ora del parto. Viene tra noi nel silenzio e nell’oscurità della notte, perché il Verbo di Dio non ha bisogno di riflettori, né del clamore delle voci umane. Egli stesso è la Parola che dà senso all’esistenza, Lui è la luce che rischiara il cammino. «Veniva nel mondo la luce vera – dice il Vangelo –, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Gesù nasce in mezzo a noi, è Dio-con-noi. Viene per accompagnare il nostro vivere quotidiano, per condividere tutto con noi, gioie e dolori, speranze e inquietudini. Viene come bambino inerme. Nasce al freddo, povero tra i poveri. Bisognoso di tutto, bussa alla porta del nostro cuore per trovare calore e riparo.

Come i pastori di Betlemme, lasciamoci avvolgere dalla luce e andiamo a vedere il segno che Dio ci ha dato. Vinciamo il torpore del sonno spirituale e le false immagini della festa che fanno dimenticare chi è il festeggiato. Usciamo dal frastuono che anestetizza il cuore e ci induce a preparare addobbi e regali più che a contemplare l’Avvenimento: il Figlio di Dio nato per noi.

Fratelli, sorelle, volgiamoci a Betlemme, dove risuona il primo vagito del Principe della pace. Sì, perché Lui stesso, Gesù, Lui è la nostra pace: quella pace che il mondo non può dare e che Dio Padre ha donato all’umanità mandando nel mondo il suo Figlio. San Leone Magno ha un’espressione che, nella concisione della lingua latina, riassume il messaggio di questo giorno: «Natalis Domini, Natalis est pacis», «il Natale del Signore è il Natale della pace» (Sermone 26,5).

Gesù Cristo è anche la via della pace. Egli, con la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione, ha aperto il passaggio da un mondo chiuso, oppresso dalle tenebre dell’inimicizia e della guerra, a un mondo aperto, libero di vivere nella fraternità e nella pace. Fratelli e sorelle, seguiamo questa strada! Ma per poterlo fare, per essere in grado di camminare dietro a Gesù, dobbiamo spogliarci dei pesi che ci intralciano e ci tengono bloccati.

E quali sono questi pesi? Che cos’è questa “zavorra”? Sono le stesse passioni negative che impedirono al re Erode e alla sua corte di riconoscere e accogliere la nascita di Gesù: cioè, l’attaccamento al potere e al denaro, la superbia, l’ipocrisia, la menzogna. Questi pesi impediscono di andare a Betlemme, escludono dalla grazia del Natale e chiudono l’accesso alla via della pace. E in effetti, dobbiamo constatare con dolore che, mentre ci viene donato il Principe della pace, venti di guerra continuano a soffiare gelidi sull’umanità.

Se vogliamo che sia Natale, il Natale di Gesù e della pace, guardiamo a Betlemme e fissiamo lo sguardo sul volto del Bambino che è nato per noi! E in quel piccolo viso innocente, riconosciamo quello dei bambini che in ogni parte del mondo anelano alla pace.

Il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli e delle sorelle ucraini, che vivono questo Natale al buio, al freddo o lontano dalle proprie case, a causa della distruzione causata da dieci mesi di guerra. Il Signore ci renda pronti a gesti concreti di solidarietà per aiutare quanti stanno soffrendo, e illumini le menti di chi ha il potere di far tacere le armi e porre fine subito a questa guerra insensata! Purtroppo, si preferisce ascoltare altre ragioni, dettate dalle logiche del mondo. Ma la voce del Bambino, chi l’ascolta?

Il nostro tempo sta vivendo una grave carestia di pace anche in altre regioni, in altri teatri di questa terza guerra mondiale. Pensiamo alla Siria, ancora martoriata da un conflitto che è passato in secondo piano ma non è finito; e pensiamo alla Terra Santa, dove nei mesi scorsi sono aumentate le violenze e gli scontri, con morti e feriti. Imploriamo il Signore perché là, nella terra che lo ha visto nascere, riprendano il dialogo e la ricerca della fiducia reciproca tra Palestinesi e Israeliani. Gesù Bambino sostenga le comunità cristiane che vivono in tutto il Medio Oriente, perché in ciascuno di quei Paesi si possa vivere la bellezza della convivenza fraterna tra persone appartenenti a diverse fedi. Aiuti in particolare il Libano, perché possa finalmente risollevarsi, con il sostegno della Comunità internazionale e con la forza della fratellanza e della solidarietà. La luce di Cristo illumini la regione del Sahel, dove la pacifica convivenza tra popoli e tradizioni è sconvolta da scontri e violenze. Orienti verso una tregua duratura nello Yemen e verso la riconciliazione nel Myanmar e in Iran, perché cessi ogni spargimento di sangue. Ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, ad adoperarsi per pacificare le tensioni politiche e sociali che interessano vari Paesi; penso in particolare alla popolazione haitiana che sta soffrendo da tanto tempo.

In questo giorno, nel quale è bello ritrovarsi attorno alla tavola imbandita, non distogliamo lo sguardo da Betlemme, che significa “casa del pane”, e pensiamo alle persone che patiscono la fame, soprattutto bambini, mentre ogni giorno grandi quantità di alimenti vengono sprecate e si spendono risorse per le armi. La guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato la situazione, lasciando intere popolazioni a rischio di carestia, specialmente in Afghanistan e nei Paesi del Corno d’Africa. Ogni guerra – lo sappiamo – provoca fame e sfrutta il cibo stesso come arma, impedendone la distribuzione a popolazioni già sofferenti. In questo giorno, imparando dal Principe della pace, impegniamoci tutti, per primi quanti hanno responsabilità politiche, perché il cibo sia solo strumento di pace. Mentre gustiamo la gioia di ritrovarci con i nostri, pensiamo alle famiglie che sono più ferite dalla vita, e a quelle che, in questo tempo di crisi economica, fanno fatica a causa della disoccupazione e mancano del necessario per vivere.

Cari fratelli e sorelle, oggi come allora, Gesù, la luce vera, viene in un mondo malato di indifferenza – brutta malattia! – che non lo accoglie (cfr Gv 1,11), anzi lo respinge, come accade a molti stranieri, o lo ignora, come troppo spesso facciamo noi con i poveri. Non dimentichiamoci oggi dei tanti profughi e rifugiati che bussano alle nostre porte in cerca di conforto, calore e cibo. Non dimentichiamoci degli emarginati, delle persone sole, degli orfani e degli anziani – saggezza di un popolo – che rischiano di finire scartati, dei carcerati che guardiamo solo per i loro errori e non come esseri umani.

Fratelli e sorelle, Betlemme ci mostra la semplicità di Dio, che si rivela non ai sapienti e ai dotti, ma ai piccoli, a chi ha il cuore puro e aperto (cfr Mt 11,25). Come i pastori, andiamo anche noi senza indugio e lasciamoci stupire dall’evento impensabile di Dio che si fa uomo per la nostra salvezza. Colui che è fonte di ogni bene si fa povero [1] e chiede in elemosina la nostra povera umanità. Lasciamoci commuovere dall’amore di Dio, e seguiamo Gesù, che si è spogliato della sua gloria per farci partecipi della sua pienezza [2]. Buon Natale a tutti!

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[1] Cfr S. Gregorio Nazianzeno, Discorso 45.

[2] Cfr ibid.




Natale del Signore Gesù

«La conversione del cuore, richiesta per andare incontro a Gesù, non consiste in belle parole e slanci sentimentali, ma nel fare la volontà di Dio e soprattutto nell’amare il nostro prossimo, nel solidarizzare concretamente con lui e condividere con lui, quando manca del necessario, i nostri beni: cibo, vestito, alloggio, assistenza, ecc.
È quanto Gesù insegna. La vita cristiana, infatti, non consiste principalmente in lunghe preghiere e penitenze estenuanti; non domanda di cambiare mestiere o professione – a meno che questa non sia cattiva in se stessa –, bensì di vivere, nell’attività e nello stato di vita a cui apparteniamo, l’amore del prossimo.
“Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” (Lc 3,11).
(…) Il Natale per la Chiesa non è semplice commemorazione di un avvenimento passato, ma è la celebrazione di un mistero sempre presente, sempre attuale: la nascita di Gesù in noi e in mezzo a noi… Come fare in modo che Gesù nasca o rinasca in noi e fra noi? Con l’amare concretamente.
Stiamo attenti che il nostro amore al prossimo non si fermi alle dichiarazioni o al sentimento, ma passi sempre all’azione, alle opere piccole e grandi».

Chiara Lubich




Papa Francesco alla CGIL

Papa Francesco alla CGIL

Educare al senso del lavoro e alla pace anche nei luoghi di lavoro

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi do il benvenuto e ringrazio il Segretario Generale per le sue parole. Questo incontro con voi, che formate una delle storiche organizzazioni sindacali italiane, mi invita ad esprimere ancora una volta la mia vicinanza al mondo del lavoro, in particolare alle persone e alle famiglie che fanno più fatica.

Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato. Viviamo un’epoca che, malgrado i progressi tecnologici – e a volte proprio a causa di quel sistema perverso che si definisce tecnocrazia (cfr Laudato si’, 106-114) – ha in parte deluso le aspettative di giustizia in ambito lavorativo. E questo chiede anzitutto di ripartire dal valore del lavoro, come luogo di incontro tra la vocazione personale e la dimensione sociale. Lavorare permette alla persona di realizzare sé stessa, di vivere la fraternità, di coltivare l’amicizia sociale e di migliorare il mondo. Le Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti possono aiutare a intraprendere percorsi formativi che offrano motivi di impegno nel tempo che stiamo vivendo.

Il lavoro costruisce la società. Esso è un’esperienza primaria di cittadinanza, in cui trova forma una comunità di destino, frutto dell’impegno e dei talenti di ciascuno; tale comunità è molto di più della somma delle diverse professionalità, perché ognuno si riconosce nella relazione con gli altri e per gli altri. E così, nella trama ordinaria delle connessioni tra le persone e i progetti economici e politici, si dà vita giorno per giorno al tessuto della “democrazia”. È un tessuto che non si confeziona a tavolino in qualche palazzo, ma con operosità creativa nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole, commerciali, artigianali, nei cantieri, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, negli uffici, e così via. Viene “dal basso”, dalla realtà.

Cari amici, se richiamo questa visione, è perché tra i compiti del sindacato c’è quello di educare al senso del lavoro, promuovendo una fraternità tra i lavoratori. Non può mancare questa preoccupazione formativa. Essa è il sale di un’economia sana, capace di rendere migliore il mondo. In effetti, «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (Enc. Laudato si’, 128).

Accanto alla formazione, è sempre necessario segnalare le storture del lavoro. La cultura dello scarto si è insinuata nelle pieghe dei rapporti economici e ha invaso anche il mondo del lavoro. Lo si riscontra ad esempio là dove la dignità umana viene calpestata dalle discriminazioni di genere – perché una donna deve guadagnare meno di un uomo? Perché una donna, appena si vede che incomincia a “ingrassare”, la mandano via per non pagare la maternità? –; lo si vede nel precariato giovanile – perché si devono ritardare le scelte di vita a causa di una precarietà cronica? –; o ancora nella cultura dell’esubero; e perché i lavori più usuranti sono ancora così poco tutelati? Troppe persone soffrono per la mancanza di lavoro o per un lavoro non dignitoso: i loro volti meritano l’ascolto, meritano l’impegno sindacale.

Vorrei condividere con voi in modo particolare alcune preoccupazioni. In primo luogo, la sicurezza dei lavoratori. Il vostro Segretario generale ne ha parlato. Ci sono ancora troppi morti – li vedo sui giornali: tutti i giorni c’è qualcuno –, troppi mutilati e feriti nei luoghi di lavoro! Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l’intera società. Più che contarli al termine di ogni anno, dovremmo ricordare i loro nomi, perché sono persone e non numeri. Non permettiamo che si mettano sullo stesso piano il profitto e la persona! L’idolatria del denaro tende a calpestare tutto e tutti e non custodisce le differenze. Si tratta di formarsi ad avere a cuore la vita dei dipendenti e di educarsi a prendere sul serio le normative di sicurezza: solo una saggia alleanza può prevenire quegli “incidenti” che sono tragedie per le famiglie e le comunità.

Una seconda preoccupazione è lo sfruttamento delle persone, come se fossero macchine da prestazione. Ci sono forme violente, come il caporalato e la schiavitù dei braccianti in agricoltura o nei cantieri edili e in altri luoghi di lavoro, la costrizione a turni massacranti, il gioco al ribasso nei contratti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia. Quante contraddizioni e quante guerre tra poveri si consumano intorno al lavoro! Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”: persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro. Il sindacato – ascoltate bene questo – è chiamato ad essere voce di chi non ha voce. Voi dovete fare rumore per dare voce a chi non ha voce. In particolare, vi raccomando l’attenzione per i giovani, spesso costretti a contratti precari, inadeguati, anche schiavizzanti. Vi ringrazio per ogni iniziativa che favorisce politiche attive del lavoro e tutela la dignità delle persone.

Inoltre, in questi anni di pandemia è cresciuto il numero di coloro che presentano le dimissioni dal lavoro. Giovani e meno giovani sono insoddisfatti della loro professione, del clima che si respira negli ambienti lavorativi, delle forme contrattuali, e preferiscono rassegnare le dimissioni. Si mettono in cerca di altre opportunità. Questo fenomeno non dice disimpegno, ma la necessità di umanizzare il lavoro. Anche in questo caso, il sindacato può fare opera di prevenzione, puntando alla qualità del lavoro e accompagnando le persone verso una ricollocazione più confacente al talento di ciascuno.

Cari amici, vi invito ad essere “sentinelle” del mondo del lavoro, generando alleanze e non contrapposizioni sterili. La gente ha sete di pace, soprattutto in questo momento storico, e il contributo di tutti è fondamentale. Educare alla pace anche nei luoghi di lavoro, spesso segnati da conflitti, può diventare segno di speranza per tutti. Anche per le future generazioni.

Grazie per quello che fate e che farete per i poveri, i migranti, le persone fragili e con disabilità, i disoccupati. Non tralasciate di prendervi cura anche di chi non si iscrive al sindacato perché ha perso la fiducia; e di fare spazio alla responsabilità giovanile.

Vi affido alla protezione di San Giuseppe, che ha conosciuto la bellezza e la fatica di fare bene il proprio mestiere e la soddisfazione di guadagnare il pane per la famiglia. Guardiamo a lui e alla sua capacità di educare attraverso il lavoro. Auguro un Natale sereno a tutti voi e ai vostri cari. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E se potete, pregate per me. Grazie!




Quarta domenica di Avvento

Quarta domenica di Avvento

Papa Francesco: «Oggi, quarta e ultima domenica di Avvento, la liturgia ci presenta la figura di San Giuseppe (cfr Mt 1,18-24). È un uomo giusto, che sta per sposarsi. Possiamo immaginare che cosa sogni per il futuro: una bella famiglia, con una sposa affettuosa e tanti bravi figli, e un lavoro dignitoso: sogni semplici e buoni, sogni della gente semplice e buona. Improvvisamente, però, questi sogni si infrangono contro una scoperta sconcertante: Maria, la sua promessa sposa, aspetta un bambino e questo bambino non è suo! Che cosa avrà provato Giuseppe? Sconcerto, dolore, smarrimento, forse anche irritazione e delusione… Ha sperimentato che il mondo gli crolla addosso! E che cosa può fare?

La Legge gli dà due possibilità. La prima è denunciare Maria e farle pagare il prezzo di una presunta infedeltà. La seconda è annullare il loro fidanzamento in segreto, senza esporre Maria allo scandalo e a conseguenze pesanti, prendendo però su di sé il peso della vergogna. Giuseppe sceglie questa seconda via, la via della misericordia. Ed ecco che, nel cuore della crisi, proprio mentre pensa e valuta tutto questo, Dio accende nel suo cuore una luce nuova: in sogno gli annuncia che la maternità di Maria non viene da un tradimento, ma è opera dello Spirito Santo, e il bambino che nascerà è il Salvatore (cfr vv. 20-21); Maria sarà la madre del Messia e lui ne sarà il custode. Al risveglio, Giuseppe capisce che il sogno più grande di ogni pio Israelita – essere il padre del Messia – si sta realizzando per lui in modo assolutamente inaspettato.

Per realizzarlo, infatti, non gli basterà appartenere alla discendenza di Davide ed essere un fedele osservante della legge, ma dovrà fidarsi di Dio al di là di tutto, accogliere Maria e suo figlio in modo completamente diverso da come si aspettava, diverso da come si era sempre fatto. In altre parole, Giuseppe dovrà rinunciare alle sue certezze rassicuranti, ai suoi piani perfetti, alle sue legittime aspettative e aprirsi a un futuro tutto da scoprire. E di fronte a Dio, che scombina i piani e chiede di fidarsi, Giuseppe risponde sì. Il coraggio di Giuseppe è eroico e si realizza nel silenzio: il suo coraggio è fidarsi, si fida, accoglie, è disponibile, non domanda ulteriori garanzie.

Fratelli, sorelle, che cosa dice Giuseppe oggi a noi? Noi pure abbiamo i nostri sogni, e forse a Natale ci pensiamo di più, ne parliamo insieme. Magari rimpiangiamo alcuni sogni infranti e vediamo che le migliori attese devono spesso confrontarsi con situazioni inattese, sconcertanti. E quando questo accade, Giuseppe ci indica la via: non bisogna cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura, questa è la via sbagliata! Occorre invece accogliere le sorprese, le sorprese della vita, anche le crisi, con un’attenzione: che quando si è in crisi non bisogna scegliere di fretta secondo l’istinto, ma lasciarsi passare al setaccio, come ha fatto Giuseppe, “considerare tutte le cose” (cfr v. 20) e fondarsi sul criterio di fondo: la misericordia di Dio. Quando si abita la crisi senza cedere alla chiusura, alla rabbia e alla paura, ma tenendo aperta la porta a Dio, Lui può intervenire. Lui è esperto nel trasformare le crisi in sogni: sì, Dio apre le crisi a prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo, magari non come noi ci aspettiamo, ma come Lui sa. E questi sono, fratelli e sorelle, gli orizzonti di Dio: sorprendenti, ma infinitamente più ampi e belli dei nostri! La Vergine Maria ci aiuti a vivere aperti alle sorprese di Dio.

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Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Mi preoccupa la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso Meridionale. In particolare sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale. Chiedo a tutti coloro che sono coinvolti di impegnarsi a trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone.

Preghiamo inoltre per la pace in Perù, affinché cessino le violenze nel Paese e si intraprenda la via del dialogo per superare la crisi politica e sociale che affligge la popolazione.

Saluto con affetto tutti voi, che siete venuti da Roma, dall’Italia e da tante parti del mondo. In particolare, saluto i fedeli della California e quelli di Madrid; come pure i gruppi di Praia a mare, Catania, Caraglio e della parrocchia romana dei Santi Protomartiri.

Alla Vergine Maria, che la liturgia ci invita a contemplare in questa quarta domenica di Avvento, chiediamo di toccare i cuori di quanti possono fermare la guerra in Ucraina. Non dimentichiamo la sofferenza di quel popolo, specialmente dei bambini, degli anziani, delle persone malate. Preghiamo, preghiamo!

Auguro a tutti una buona domenica e un buon cammino dell’ultima tappa dell’Avvento. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci».