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La triplice “consegna” alla croce di Cristo, segno dell’Amore che coinvolge

Domenica delle Palme – Anno B –

 Marco 14,1- 15,47

crocifisso– E’ la domenica della Passione di Gesù, inizio della Settimana Santa, culmine della storia della salvezza. Si avvicina l’“ora” della triplice “consegna” del figlio di Dio. Il Padre che ama “consegna” il Figlio alla croce. Gesù “consegna” se stesso alla morte e l’uomo “consegna” Dio incarnato ai carnefici. Tre consegne che portano alla sconfitta del peccato, alla piena partecipazione di Gesù al dolore umano, alla vittoria della vita sulla morte.

Sono tre le consegne, ma non tutte dettate dalla stessa intenzione: c’è quella buona, che scaturisce dall’amore del Padre e che porta alla Redenzione dell’umanità; c’è quella del Figlio che si auto-consegna alla morte per ubbidire al Padre ed essere vicino al dolore e al dramma umano; c’è un’altra consegna, ed è la terza, che scaturisce dai calcoli umani, dalla delusione ideologica e dai progetti andati in fumo ed è quella di Giuda.

“Consegnare” è il verbo che ci accompagna per tutta la Settimana Santa: nei brani biblici, nella Liturgia, nei riti che, se vissuti nella profondità della fede, ci aiuteranno a rivivere i giorni della nostra salvezza. “Consegnare” il Risorto a ogni donna e uomo, è il mandato che a tutti i credenti è consegnato a Pasqua, da Cristo, dalla Chiesa, dalla fede: A noi la scelta di “consegnarlo” in positivo, come hanno fatto il Padre e il Figlio, o in negativo, cioè falsando la sua immagine, come ha fatto Giuda. 

Nella Sua Passione, Cristo si è consegnato a ogni uomo per con-dividerne il dramma, la sofferenza, il dolore e per mostrare a lui, creatura indifesa, tutto il suo amore. Ora, in forza di questo dono di se stesso, tutti insieme formiamo l’unico Corpo di Cri­sto e come Sue membra percepiamo che Gesù continua la sua agonia fi­no alla fine dei tempi: Ogni giorno è crocefisso in molteplici croci moderne, in tantissime donne e uomini che in ogni parte del mondo sono inchiodati alla sofferenza, allo sfruttamento, alla violenza, alla morte. La croce, allora, non è una reliquia che viene da lontano, ma è realtà dei giorni che viviamo, compagna di tutte le sofferenze quotidiane.

Per questo mi chiedo: “Posso tirarmi indietro dalle tante croci di cui l’uomo ogni giorno è caricato? No, non voglio tirarmi fuori, far finta di niente. Voglio piuttosto vivere fino in fondo la croce, quella mia e quella dei tanti che ogni giorno sono caricati ingiustamente da croci moderne”.

I passanti si fanno beffa di Gesù che pende dalla croce. Lo scherniscono, lo deridono: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!” Forse qualsiasi altro sarebbe sceso dalla croce, avrebbe stupito tutta la folla presente e data dimostrazione della potenza divina. Gesù invece no, se ne sta al suo posto, sulla croce: E’ lì che Dio lo vuole! Solo in quella posizione, con le braccia spalancate e pendendo dal legno, può mostrare a tutti l’amore senza fine del Padre, quello che accompagna l’uomo nel suo dolore, nella sua sofferenza e fino alla morte, perché anche questa tocca ogni creatura.

Gesù sceglie di restare sulla croce fino a quando ci saranno uomini in croce. Perché non sarebbe credibile il suo amore se non stesse accanto alla persona da lui amata. La croce, quindi, ci svela il volto di Dio, più di ogni altra parola e gesto, ci racconta il suo amore e ci fa orientare nei labirinti impenetrabili della nostra vita gelida e incapace di donare anche piccoli gesti amore.   

“Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.

 E’ sulla croce che l’uomo capisce chi è Gesù: non un uomo qualsiasi, ma il Figlio di Dio. Ci chiediamo: Perché il centurione l’ha riconosciuto proprio sulla croce? Che cosa ha visto? Semplicemente amore donato senza riserve per tutti, richiesta di perdono anche per gli assassini ed è stato attrazione, fascino, innamoramento.

Chissà se anch’io sono capace di farmi attrarre dalla croce, di provare fascino, innamoramento per l’uomo-Dio che continua a ripetermi: “Non ti ho amato per scherzo” (B. Angela da Foligno.)