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La parabola del Padre misericordioso

La parabola del Padre misericordioso

Anche se il racconto può dare l’impressione che al centro ci sia la figura del figlio più giovane, tanto è vero che nei secoli questa parabola è stata conosciuta come “la parabola del figlio prodigo”, il vero protagonista è invece il Padre, l’unico che mantiene integra e coerente la sua identità: quella di essere Padre. Ai nostri giorni si preferisce più giustamente parlare della “parabola del Padre misericordioso”. I figli invece sono quelli che hanno profondo bisogno di riscoprire la loro identità e di comprenderla e viverla in maniera nuova ed autentica. Entrambi, infatti, chi per un verso chi per un altro, si pongono in maniera alienante e distorta nei confronti del Padre, tant’è vero che uno sente il bisogno di allontanarsi il più possibile da casa e tagliare del tutto i rapporti con il padre, mentre l’altro, pur rimanendo in casa vicino al Padre, vive in atteggiamento servile, di formale obbedienza, ma non è in intimità col Padre. Il figlio più giovane si pone in atteggiamento di piena contestazione nei confronti del padre: l’ambiente familiare gli sta stretto, ha i suoi progetti, le sue aspirazioni e sembra che il padre sia di ostacolo alla piena espressione della sua persona. Il suo atteggiamento è quello di chi sente di avere tutti i diritti dalla sua parte e che tutto gli sia dovuto. Cosa inaudita, soprattutto a quei tempi, chiede con arroganza di avere “la parte di eredità che gli spetta”. Di solito l’eredità si riceve dopo che il padre muore e il giovane ragiona come se per lui il padre fosse già morto. Ma ancora più curioso è il fatto che il Padre non lo contesta, non gli si oppone, anzi gli consegna quello che gli è stato chiesto, quasi a riconoscere il diritto di quel figlio. Sappiamo come prosegue la parabola. Ubriacato dalla sfrenata sete di libertà, il giovane si getta a capofitto nella vita, cercando di prendere da essa tutto quello che può, gli sembra esaltante e lo fa sentire vivo ed euforico. I soldi gli fanno pensare che possa permettersi tutto: banchetti, amici, divertimenti, sballo, donne, vino e ogni sorta di emozione che la bella vita sembra potergli offrire. La conclusione della sua storia è invece amara e deludente. Abbandonato dagli amici, senza più un soldo, si deve adattare alle più umilianti situazioni per sopravvivere, accettando persino di andare a pascolare i porci, animali tabù e immondi per gli ebrei, e persino desiderare di saziarsi di quello che essi mangiano.

Solo ora che è costretto dal bisogno e sprofondato nella miseria più abietta affiora il ricordo del padre e della casa paterna e di come nella sua casa anche i servi venissero trattati con rispetto e umanità, tanto da fargli sentire desiderabile la loro condizione, a paragone della sua. Così matura nel suo animo l’idea di tornare dal Padre. Non è certo un esempio di pentimento e di sincera conversione, ma di semplice calcolo interessato. Al centro c’è ancora e sempre il suo io, il suo personale vantaggio. Ma nel profondo della sua coscienza, anche se ancora non se ne rende conto, comincia a prendere forma la figura del padre, benchè il genitore sia percepito come uno che può risolvere i suoi problemi, non di più. Così si deve preparare un discorsetto da fare al padre, per farsi accettare almeno come un servo, perché sa di avere perso ogni diritto. Prepara le parole da dire, perché non sono familiari al suo cuore. Ma intanto si alza da quella situazione e si muove nella direzione che lo porta verso il padre.

E qui avviene qualcosa di sconvolgente: il padre, che non ha smesso di pensare a lui e di aspettare il suo ritorno, non appena lo vede da lontano gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia, senza rinfacciargli nulla, senza coprirlo di rimproveri, ma addirittura ordinando che venga ben ripulito, che gli siano dati i vestiti più belli e persino l’anello, che lo fa riconoscere come figlio. Il figlio indegno viene rivestito di dignità dall’amore misericordioso del padre, che ha continuato ad amarlo e a ritenerlo figlio, come ora sta dimostrando con il suo atteggiamento. Ma c’è ancora un’altra persona che sembra sia stata dimenticata: il figlio maggiore, quello che era rimasto a casa con il padre. Arriva dalla campagna, dal compimento del suo dovere e sente suoni e trova aria di festa. Si informa dai servi e la notizia che apprende, invece di farlo gioire, lo colma di indignazione e di risentimento, sia nei confronti del padre come pure del fratello, che ormai per lui non esisteva più. Lo aveva cancellatao, come del resto aveva fatto l’altro fratello. Questo è forse l’aspetto che ancora occorre scoprire nella parabola. Il Padre non può essere felice, fino a quando i figli si ignorano l’uno l’altro. Raggiunge il figlio maggiore che si  stava allontanando e mentre questo parla del fratello come di “quello”, il padre insiste a dire “tuo fratello” e lo invita a considerare il grande evento che si era compiuto: suo fratello che era come morto è tornato in vita, colui che era perduto è stato ritrovato!

L’esigenza della fraternità da vivere nei confronti gli uni degli altri rimane il desiderio più urgente del padre. Se i figli non si riconoscono e si accettano gli uni con gli altri, viene messa in discussione anche la paternità del padre. Non si può essere figli, se non si impara ad essere fratelli. Non possiamo chiamare Dio come nostro Padre se non impariamo a considerare e ad amare l’altro come fratello. Questo è l’insegnamento fondamentale del vangelo di Gesù, il suo comandamento: amarci gli uni gli altri. Come giustamente sottolinea Giovanni, non ha senso ed è un vero e proprio inganno pensare di amare Dio, senza cominciare prima ad amare il fratello.

Padre Pino (Giuseppe Licciardi)