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Domenica delle Palme

Domenica delle Palme

«Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea»
(Mt 21,1-11*; Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14- 27,66)

Con la celebrazione della Domenica delle Palme, veniamo introdotti nella Settimana Santa, durante la quale celebreremo i misteri della Passione e Morte del Signore che avranno il loro culmine nella sua Risurrezione. Queste festività sono senza dubbio fra le più attese dell’anno per il concorso dei fedeli, in modo particolare per le Palme, il Venerdì Santo a motivo della processione col Cristo morto e la notte della Veglia Pasquale. Quest’anno, purtroppo, tutte queste celebrazioni le potremo vedere solo tramite i canali nazionali o quelli regionali e locali, o su Facebook, che le trasmetteranno, a motivo del Corona virus che ci obbliga tutti a stare a casa. Nonostante tutte queste limitazioni prego che la grazia particolare di questa Settimana Santa possa ugualmente entrare con efficacia nel vostro spirito e farvi gustare profondamente tutte le celebrazioni.

L’evento dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme è il preludio del grandioso dramma, che costituisce l’annuncio fondamentale della nostra fede, il “Kerigma”, che si condensa nella incredibile e stupefacente affermazione: “Colui che è stato crocifisso è risorto!”. Il racconto della passione del Signore non finisce mai di commuoverci profondamente, ed è veramente difficile non sentirsi coinvolti da esso, perché non contiene soltanto la storia delle ultime vicende di Gesù, ma contiene la nostra storia, la storia di ciascuno di noi, la mia storia, la tua storia, fratello e sorella, che vi entri con cuore aperto e sincero.  Poiché questa Domenica è caratterizzata dall’accoglienza gioiosa che il popolo riserva a Gesù, nel momento in cui Egli fa il suo profetico ingresso a Gerusalemme, mi pare giusto dare il via a  queste brevi riflessioni partendo da qui, per poi entrare nel racconto della Passione.

            Stando al Vangelo di Matteo, questa colorita e significativa vicenda nasce da una diretta iniziativa di Gesù, che intende realizzare una profezia per presentarsi come il re di pace, pieno di mitezza, preannunziato dal profeta Zaccaria. Betfage è un piccolo villaggio che sorge verso la fine della salita che da Gerico porta a Gerusalemme, ed il significato del suo nome è, alla lettera, “casa dei fichi non maturi”. Questo nome può richiamare quello che verosimilmente succedeva, trattandosi di una zona di transito, dove i viaggiatori non davano ai fichi il tempo di maturare. Ma richiama anche l’episodio di Gesù che desidera mangiare una fico, ma trova solo foglie, oppure la parabola del giardiniere che continua a coltivare il fico strerile, nella speranza che porti frutto. Gesù non entra nel villaggio, ma vi manda qualcuno dei suoi discepoli con l’ordine preciso di prendere in prestito un’asina con il suo puledro. Nel caso di qualche obiezione da parte del proprietario, bastava soltanto che dicessero: “Il Signore ne ha di bisogno”. Ma non ci sono problemi. Slegano l’asina con il suo puledro e li portano da Gesù. Da questo momento tutto quello che avviene è all’insegna della fantasia e dell’entusiasmo popolare.

            I discepoli mettono i loro mantelli sulle bestie e la folla che li circonda si lascia coinvolgere da questo spirito. Chi comincia a stendere i mantelli al passaggio di Gesù, chi spezza o taglia rami di ulivo e di palme per agitarli o stenderli sulla strada in segno di festosa accoglienza. Man mano che vanno avanti il corteo s’ingrossa, l’entusiasmo cresce e cominciano a sentirsi delle acclamazioni di gioia e di lode: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». Sembra che tutti siano invasi dallo spirito di profezia, per dare senso a quello che sta succedendo. Gesù viene osannato come figlio di Davide, come il Messia promesso che viene nel nome del Signore, e la folla rende gloria a Dio perché ha inviato l’atteso dei secoli . Il corteo intanto giunge nella città santa, Gerusalemme, e la presenza inattesa di questa folla acclamante che grida il suo entusiasmo mette in subbuglio ed in allarme la città. Si sente aleggiare una forma di paura, la paura dei capi che rifiutano Gesù, la paura di Gerusalemme che chiede: “Chi è costui?” come se mai avesse visto Gesù, e la folla che, con disarmante spontaneità e convinzione, da la sua risposta: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

         La risposta della folla, sensibile al soffio misterioso dello Spirito, anticipa quello che viene fatto scrivere da Pilato sul cartello che indica il motivo della condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei», come pure la sorprendente ed insospettabile esclamazione del centurione romano, che assiste alla morte di Gesù: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Tra questi momenti, che si collocano alle due estremità dell’intera vicenda, ecco l’avvincente racconto della Passione, che non possiamo limitarci a leggere con distacco ed indifferenza, ma nel quale noi entriamo come protagonisti. Nei vari personaggi che ci vengono descritti ci siamo pure noi. Noi siamo Giuda, che con un bacio tradisce il maestro, che continua a  chiamarlo ancora “amico”;  noi siamo gli apostoli, che scompaiono dalla circolazione, non appena vedono il loro Maestro legato con catene e condotto al Sinedrio; noi siamo Pietro, che alterna le fasi di audacia, nell’orto del Getsemani, con le fasi umilianti del silenzio pauroso di chi sta a guardare come va a finire fino al rinnegamento più vergognoso, quando afferma ripetutamente che che non conosce Gesù, che non ha niente a che fare con Lui, per poi riconoscere la sua vigliaccheria e pentirsi piangendo amaramente.

            Siamo noi la folla che sta a guardare, che tace per paura dei capi dei giudei, o che persino si lascia coinvolgere nel gridare contro Gesù ed approvare la sua condanna. Siamo noi nei soldati che diventano disumani e crudeli nei confronti del debole condannato, non provando un briciolo di pietà, anzi deridendolo ed insultandolo. Siamo noi nei capi del popolo e nel Sinedrio che cerca ogni scusa per condannare Gesù, ricorrendo anche allo spergiuro e accusandolo ipocritamente di bestemmia, pretendendo di stare dalla parte di Dio, e che lo deridono sotto la croce. Siamo noi in Pilato che finisce col cedere alla ragion di stato ed all’interesse personale, pur avendo riconosciuto l’innocenza di Gesù.  Ma siamo anche noi con le donne che lo avevano seguito dalla Galilea ed hanno continuato con fedeltà a stargli vicino, fin sotto la croce. E siamo pure Nicodemo che si fa avanti dichiarandosi apertamente suo amico. E, spero, siamo in Maria, la Madre di Gesù, in Maria di Magdala e l’altra Maria, che non cessano di stargli vicino, anche quando lo pongono nel sepolcro, da dove risorgerà glorioso.

            Giuseppe Licciardi (P. Pino)