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Il Buon Pastore

«IL BUON PASTORE DA LA PROPRIA VITA PER LE PECORE»

           La quarta domenica di Pasqua è solitamente conosciuta come la “Domenica del Buon Pastore”, per il fatto che viene letto un brano del Vangelo di Giovanni che ci presenta Gesù in questa qualifica di pastore bello e buono. L’auto-proclamazione di Gesù appartiene a una di quelle auto-rivelazioni, che Gesù fa di se stesso,  introdotte da un solenne  IO SONO, che non è altro che la proclamazione del nome di Dio stesso. Così infatti si presenta Dio a Mosè, quando gli appare sull’Oreb, nel roveto ardente, e risponde alla sua domanda di indicargli il suo nome: “IO SONO mi ha mandato, così dirai agli Israeliti”. E Gesù, a diverse riprese, presenta la sua persona, definendosi IO SONO, accompagnato di volta in volta da una qualifica che lo identifica con il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: “Io sono la Via, la Verità, la Vita, la Risurrezione, la Porta, il Pane di vita…”. Nell’odierna pagina di vangelo Gesù parla di stesso, definendosi: “io sono il Buon Pastore”. Dicendo questo, usa una delle immagini molto care al popolo d’Israele, quando si riferiva al suo Dio, chiamandolo proprio così: “Il Signore è il mio pastore”.

Questa immagine dice molto a Gesù, ma dice anche moltissimo di Gesù, perché è una immagine pasquale, dove la figura dell’Agnello e del Pastore si fondono insieme. Gesù Pastore è nello stesso tempo l’Agnello che viene immolato e offre la sua vita in riscatto per noi e per tutti gli uomini che il Padre ha messo nelle sue mani. Dopo essersi presentato come il buon pastore, Gesù ci dice quali sono le caratteristiche che lo fanno riconoscere come tale, usando una immagine di contrasto, quella del mercenario. Entrambi pascolano il gregge, ma lo spirito con cui svolgono questo loro compito è totalmente diverso. Il buon pastore è totalmente proteso verso le sue pecore, si prende cura di loro, ed è pronto  a dare la vita per esse. Il mercenario invece cerca il suo interesse, non è pronto a rimetterci la vita in caso di pericolo, ma cerca di salvare  se stesso. Le pecore non sono sue. Con esse ha un rapporto di carattere professionale, quindi le tratta bene, ma rimane sempre un estraneo. Per il pastore invece le pecore fanno parte della sua vita, egli vive per loro e non può permettersi di perderle.

            Gesù in fondo sta parlando di se stesso, in rapporto ad ogni figlio che il Padre gli ha affidato. Le espressioni sono di una tenerezza straordinaria ed rivelano il carattere di intimità che Gesù  desidera stabilire con ciascuno di noi. Egli infatti riprende il titolo personale, Io sono il buon pastore, ed usa subito un verbo “conosco le mie pecore” che ha una profonda valenza di rapporto intimo e personale. Tanto è vero che subito aggiunge “e le mie pecore conoscono me”. Tra Gesù ed ogni suo discepolo si instaura un rapporto di straordinaria reciprocità, di conoscenza, di attenzione, di intesa profonda, tanto che gli interessi di Gesù sono quelli del discepolo, così pure i desideri di Gesù sono quelli del discepolo, perché si realizza una profonda comunione di vita. Gesù stabilisce un preciso rapporto tra la conoscenza che Lui ha del Padre e il Padre di Lui, e quella che ci deve essere tra Gesù e le pecore del suo gregge. Se manca questo, allora il discepolo rischia di non aver parte con il suo maestro, di rimanere un estraneo. Ed ancora per ben due volte Gesù ripete che egli dona la vita per le sue pecore.

            Il suo è un atteggiamento non di possesso, ma di piena libertà, perché quel che gli preme soprattutto è il vero bene e la vita delle sue pecore. Ma c’è un altro particolare assai interessante, quando Gesù rivela con emozione che ha altre pecore che non sono nel recinto, ma che sono ugualmente nel suo cuore, e che è suo desiderio poter condurre anche quelle. La traduzione permette anzi di pensare a coloro che non provengono dal recinto, ma di cui Gesù si sente pastore e guida. Quanti pur non conoscendolo, o addirittura stando in altri recinti, sono in sintonia con Lui, condividono la sua ansia di bene, di vita, di verità, di onestà di giustizia, di misericordia. Egli non si pone in atteggiamento di giudizio o di pregiudizio, ritenendo suoi solo quelli che fanno parte del suo recinto. Egli riconosce e sa di guidare anche altri che sono fuori, ma che stanno dalla sua parte, e condividono i suoi stessi interessi. Anche se essi non lo conoscono e/o non lo riconoscono, tuttavia egli li conosce e li chiama per nome, ed attende che anch’essi un giorno lo possano riconoscere e chiamare per nome.

            Veramente straordinaria ed attuale questa pagina di vangelo, che viene suggerita a tutta la chiesa e a coloro che in essa hanno particolari responsabilità nei confronti dei fratelli, i pastori delle anime. In questa domenica viene celebrata la giornata mondiale delle vocazioni, facendo particolare riferimento alle vocazioni sacerdotali ed a quelle di vita consacrata. Ma possiamo farci entrare tutti coloro che hanno una responsabilità educativa nei confronti degli altri, genitori ed educatori in primo luogo, o quanti hanno responsabilità civili. La figura che Gesù traccia del buon pastore è un modello provocante, ma anche di salutare confronto per tutti. É un invito a spendersi per amore, a non avere un cuore da mercenari, che cercano il proprio tornaconto, ma sempre il bene delle persone loro affidate. E c’è anche l’invito a non chiudersi nel proprio recinto, ma a mettersi in uscita per incontrare coloro che sono fuori, con atteggiamento di amicizia, di sincera stima ed apertura, cercando sempre il bene comune, che sta al di sopra degli interessi di parte. I veri pastori, devono rispecchiare “il buon pastore”.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)