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Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri

«QUESTO VI COMANDO: CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI»
(At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17)

            Questa pagina degli Atti degli Apostoli ci fa toccare con mano la straordinaria trasformazione avvenuta in Simon Pietro. Egli non parla o agisce più in base alle sue emozioni, ma si lascia condurre con estrema docilità dallo Spirito di Dio e dice e fa delle cose che mai si sarebbe sognato di fare o di dire prima. Egli non ragiona più con la mentalità del fariseo, per cui entrare nella casa di un pagano era un gesto inammissibile. Ora lascia che sia Dio stesso a guidarlo e a condurlo nella casa di Cornelio, il centurione pagano di Cesarea, uomo buono e timorato di Dio, che si curava dei poveri facendo molte elemosine ed era dedito alla preghiera. Pietro confessa che solo ora si sta rendendo conto che dinanzi a Dio non è l’appartenenza religiosa o razziale che conta, ma Dio accoglie  ogni uomo che lo teme e pratica la giustizia. Dio gli apre la strada facendo scendere lo Spirito Santo sui pagani riuniti in casa di Cornelio. Un segno chiarissimo per Pietro che non può rifiutare il battesimo a coloro che già lo Spirito di Dio aveva scelto. L’amore di Dio ci precede sempre. Basta solo che lo seguiamo.

            La strada indicata da Gesù è proprio quella dell’amore, e bisogna avere occhi e cuore per poterla riconoscere e seguire. Questa via, che appare naturale e scontata, dimostra invece di essere una via difficile da percorrere, a meno che non la si scambi con i nostri desideri e le nostre emozioni o con l’appagamento dei nostri istinti. Il punto di riferimento per il nostro pensare ed agire è uno solo, la persona di Gesù. Ecco perché parlando con i suoi discepoli egli usa il termine “comandamento” o “io vi comando”, per farci comprendere che la vera, unica via da seguire è quella tracciata da Lui. Il rischio che corriamo andando dietro alle illusioni del nostro io è quello di perdere su tutte le linee. Pensiamoci: a prescindere da Dio non facciamo altro che allontanarci dalla nostra vera identità e natura. E tutto quello che facciamo, anche se è conforme ai criteri di questo mondo, come accumulare ricchezze, farsi un nome che conta, avere potere e prestigio,  tutto questo non fa altro che portarci lontano dalla nostra vera meta, che consiste nella piena realizzazione di noi stessi secondo il progetto di Dio.

            Ed è davvero toccante sentire Gesù parlare con il cuore in mano, per dire ai discepoli che Lui non li tratta come servi, ma come amici fidati, ai quali ha fatto conoscere tutto quello che Egli ha udito dal Padre suo. Ora quello che Gesù ha sempre udito è che il Padre ama i suoi figli e vuole che nessuno di essi vada perduto, ma abbia la vita eterna.  Il Padre vuole che noi riusciamo a vivere al massimo delle nostre potenzialità. Gesù parla  per diretta esperienza e rivela agli apostoli il segreto del suo intimo rapporto con il Padre, che diventa come il modello indicato agli stessi apostoli. L’amore del Padre rimane in Gesù per il fatto che Gesù osserva sempre la sua parola. Anzi Gesù usa il termine  “comandamento” per esprimere la piena docilità con cui Egli obbedisce al Padre. Per quanto questo verbo possa urtarci, esso tuttavia è il verbo che Gesù preferisce, perché traduce la perfetta intesa che c’è tra Padre e Figlio e consente al Figlio di compiere le opere del Padre con il suo stesso potere. Per Gesù obbedire è entrare nell’amore del Padre e rimanervi ben piantato.

            La stessa logica vale per i discepoli. Ecco perché Gesù li collega al suo rapporto col Padre. “Come il Padre ha amato me così io ho amato voi“. E subito completa il cerchio con la logica conclusione: “Rimanete nel mio amore“, che trova la sua attuazione proprio nel fatto che i discepoli osservino i suoi comandamenti, come Egli osserva i comandamenti del Padre suo e rimane nel suo amore. Questa richiesta ha un solo scopo: “Questo io vi dico, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena“. Quello che Egli chiede non è per metterci in imbarazzo, ma per darci la possibilità di condividere la sua gioia in modo che dilaghi in noi in tutta la sua pienezza. La somiglianza con Dio non è statica, ma dinamica, è qualcosa che abbiamo ricevuto ma in germe, qualcosa che dobbiamo imparare a far crescere continuamente. Giovanni, nella prima lettera, ci rivela che Dio è amore e proprio per questa sua intrinseca qualità non può fare a meno di amare. Se noi vogliamo conoscere Dio, l’unica via da percorre è quella di amare a nostra volta. Ecco perché ci viene chiesto con insistenza di amarci gli uni gli altri.

            Una via difficile da percorre, ma Gesù si è messo davanti a noi ed ha percorso questa via  fino in fondo, fino a dare la sua vita per i suoi amici. Perciò ci chiede non di amare in maniera generica, ma “come io vi ho amato“, seguendolo nel suo farsi servo  e nella disponibilità a dare la vita per gli altri. Egli ci guarda come a persone su cui ha giocato la sua stessa vita e non può volere che noi falliamo. Pare proprio che abbia scelto questo ultimo giorno per dirci tutto il suo amore, per dirci che Egli ci ha scelti uno per uno, e ci ha amati in tutta serietà, e perché ci ritiene capaci di fare frutto. Non siamo creature buone a niente, se Gesù stesso ha scommesso la sua vita si di noi. Vuol dire che valiamo molto ai suoi occhi. Vuol dire che dovremmo imparare a guardare noi stessi e gli altri con gli stessi occhi con cui Egli ci ha guardato e continua a guardarci. Noi non siamo soli. Gesù ci ha garantito che il Padre ci ama, e che Lui stesso ci ha amati per primo. Questo ci consente di poter irradiare quell’amore che è stato riversato in noi con larghezza e senza misura, amandoci gli uni gli altri come Lui ci ha amato.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)