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Non si può pregare Dio e disprezzare gli uomini

Non si può pregare Dio e disprezzare gli uomini

XXX Domenica del Tempo Ordinario_ Anno C

Vangelo: Lc 18,9-14

il-fariseoIn quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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Nel mese di ottobre la Chiesa dedica la sua attenzione soprattutto alla missione: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Andare e raccontate la bellezza della vita e dell’amore. Raccontate la misericordia del Padre, il Suo amore per tutti gli uomini, specialmente per i peccatori, i lontani, gli esclusi. Andate e raccontate le meraviglie di Dio, dite con forza che Lui attende il nostro amore: gli basta un nostro cenno, una parola per correrci incontro e gettarsi al nostro collo.

Due uomini vanno al tempio a pregare. Il primo dice: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, impuri… » (Lc 18,11).
Il Vangelo di questa domenica ci spinge a riflettere, quasi con forza, sulla tentazione più antica del mondo: sostituirci a Dio per essere noi al centro di tutto. Abbiamo tutti voglia di metterci in mostra, di stare ai vertici di ogni cosa, senza capire se abbiamo capacità e qualità; non siamo nemmeno più capaci di ‘guardarci dentro’, riconoscere e accettare il ‘poco’ che siamo.
Ragiona così anche il fariseo della parabola raccontata da Gesù: con le parole si rivolge a Dio, ma in realtà la sua mente è centrata su se stesso. Sua unica preoccupazione è il suo ‘io’. Il fariseo, quindi, vuole stare al centro di ogni situazione e di ogni luogo: persino al centro del tempio, in cui si va per incontrare Dio. Ha dimenticato che lì, nel tempio, si va per qualcun altro: qualcuno che è il datore di ogni cosa, al quale si va per attingere forza, e gustare il suo amore. Al tempio si va per pregare e riconoscere Dio.
Il fariseo della parabola ci ricorda che vivere e pregare sono due aspetti della vita dell’uomo: le diverse facce della stessa medaglia, complementari una con l’altra, inseparabili. Così, come si vive si prega e viceversa. Quel fariseo, e con lui anche noi, viveva la sua vita così come pregava: ricerca di se stesso, unico protagonista della sua esistenza, numero ‘uno’ assoluto di tutta la storia. Incapace di relazione con un Dio che gli sta di fronte, di accogliere il Suo amore e per questo non meritevole del perdono.

«Io non sono come gli altri» (Lc 18,11).
Quanta amarezza in quest’affermazione: “Io non sono come gli altri”. Nel film “Il Marchese del Grillo” (1981) di Mario Monicelli, Alberto Sordi dice questa frase ad alcuni poveracci arrestati: “Perché io so io, e voi non siete… nulla”.
Tantissimi cristiani la pensano così: Gli altri non sono uguali a noi. Noi siamo noi!
Non si può pregare Dio e disprezzare gli uomini. Non si possono postare su face book immagini e frasi che inneggiano all’amore di Dio, alla Sua tenerezza e, poi, per strada essere spietati con i migranti, con gli zingari, ecc. Non si può lodare Dio in chiesa, alzare le mani e pregare perché finisca la guerra, per i poveri o i bambini e poi uscire per strada e non accorgerci che accanto a noi ci sono bisognosi di ogni tipo, affamati, malati…
Non si possono postare su face book frasi del tipo: “Il crocefisso nelle scuole e negli ospedali non si tocca” e, poi, non accorgersi dei tanti ‘crocefissi’ scappati per non morire. Questa è vera ipocrisia: combattere contro i tanti crocefissi che arrivano da lontano e scappano dalla morte.
In questa parabola Gesù ci insegna a vigilare sulla nostra vita e sulla preghiera, perché troppo spesso pensiamo di pregare e vivere da credenti, ma non lo siamo. Pensiamo di avere Dio dentro, ma il nostro cuore è vuoto e freddo. Pensiamo di conoscere Dio, ma non è il Padre che Gesù ci ha fatto conoscere.
Che brutta cosa confondere l’immagine di Dio: saremo confusi su tutto nella vita.

Poi, oltre al fariseo, c’è anche il pubblicano: uomo semplice, umile, senza identità e religione. Eppure ha molto da insegnarci, perché con le sue parole ci insegna a cedere il posto giusto a Dio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13).
In questa piccola, semplice e umile preghiera c’è il senso di tutto il nostro rapporto con Dio, quello che Gesù ci ha insegnato: ‘tu’. E’ questa la parola che mette in relazione l’uomo e Dio: «Signore, tu abbi pietà». E’ Dio l’artefice di ogni cosa che interessa l’uomo, non viceversa. Non sono le cose che facciamo che dobbiamo elencare a Dio, ma riconoscere ciò che Lui ha fatto per noi. Ecco perché il pubblicano “tornò giustificato a casa”.