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«Il futuro. L'uomo che verrà»

logo uomodi Francesca Artista*

LO SGUARDO, il modo in cui guardiamo alle cose, il punto di vista da cui guardiamo le cose cambia le cose e lentamente cambia noi stessi.

Lo sguardo chiama in causa i nostri occhi ma anche la nostra mente, i nostri sensi, il nostro cuore, la nostra anima.

Vi invito ad iniziare con il gioco più serio che ci sia: l’immaginazione. L’unico sguardo che ci fa vedere anche al buio, anche ad occhi chiusi.

 L’uomo che verrà.

Una porta chiusa è dinanzi a noi. Curiosità, timore, disillusione, presunzione di sapere…..

Apriamola.

Un bambino ci corre incontro e ci guarda……..non ne vediamo il volto, da lontano sembra un bambino come tanti, ci sembra simile a ciò che già abbiamo visto eppure mentre si avvicina ……è sconosciuto, nuovo al nostro sguardo, cosa faremo?

Staremo seduti ad osservarlo?  Lo inseguiremo senza meta, ansiosi di muoverci comunque giocandoci un po’? Lo ignoreremo e guarderemo oltre?  Lo scacceremo da noi per non essere infastiditi o gli corriamo incontro e gli tendiamo le braccia, lo prendiamo per mano, accettando di ascoltare un invito antico e profondo quanto l’essere umano stesso: il volto dell’altro, i nostri passi che si mettono in sintonia per trovare un ritmo, un accordo, con quelli del bambino? Le nostre mani che ricevono il suo calore e lo ricambiano……

Questo bambino si trova dentro di noi e ci attende anche fuori di noi, è la novità di vita, è la nascita, è il farci concavi, accoglienti all’acqua della vita, fiduciosi al divino che ci chiede di restare incinti di Dio, di farci varco, grembo accogliente ed aperto. In questa dimensione l’attesa del futuro è già il futuro che germina, cresce, viene nutrito e si alimenta, concretamente, fisicamente, materialmente,

Proviamo a guardare al futuro come AVVENIMENTO.

CHIAMIAMO AVVENIRE il modo in cui il futuro si manifesta. AD  venire.

Viene verso di noi come il bimbo che ci corre incontro e se anche noi andiamo incontro ad esso aprendo noi stessi all’inatteso, al possibile, alla nascita allora avviene il futuro come novità vera della vita e della storia; altrimenti essa resta un cerchio chiuso, una mera ripetizione dell’esistente, magari con qualche riuscita operazione di maquillage.

Nell’unica preghiera che ci è stata tramandata insegnataci da Gesù: nel PADRE NOSTRO….diciamo “Venga il tuo regno”. Il Regno di Dio viene, avviene. E l’avvenimento lega cielo e terra e si compie attraverso il nutrimento quotidiano dell’anima e del corpo, si nutre dell’invocazione nella profondità ed intimità del nostro essere di non essere lasciati soli nella prova e di essere liberati dal male.

Il padre nostro si conclude con l’abbandono al Padre invocando la liberazione, poiché essa è la porta che ci apre al futuro.

Il Futuro nasce se noi nasciamo e se usciti dalle schiavitù come si racconta nell’esodo noi diveniamo popolo di Dio in cammino.

Nell’esodo che è il racconto più potente della metafora della vita come uscita, Mosè riesce a vivere perché donne scelgono di disobbedire.

Quando è in gioco la vita A DISOBBEDIRE SONO SOPRATTUTTO LE DONNE.

Esodo capitolo primo e secondo. Siamo in Egitto, la dinastia dei faraoni ha dimenticato la ricchezza della storia di Giuseppe intrecciata alla propria ed è preoccupata del numero crescente di ebrei che vive in Egitto. Il faraone ordina di uccidere i maschi ebrei alla nascita e chiama le due levatrici, di cui la scrittura riporta il nome.

Le levatrici disobbediscono agli ordini del faraone che impone loro di uccidere durante il parto i maschi e lasciare in vita le femmine. Rimproverate esse si giustificano dicendo che le ebree sono forti e veloci a partorire ed esse arrivano tardi. Il faraone allora ordina che i maschi vengano abbandonati al fiume. Ma una donna partorisce un figlio e vede che è bello, allora lo tiene nascosto per tre mesi ma non potendo tenerlo nascosto oltre prese un cestello di papiro lo spalmò di bitume e pece, vi pose dentro il bambino e lo depose tra i giunchi sulla riva del Nilo. La sorella del bambino si pose ad osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. La figlia del faraone scesa per fare il bagno vide il cestello tra i giunchi e manda la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide che piangeva. Ne ebbe compassione e disse” è un bambino degli Ebrei”;  la sorella del bambino allora disse alla figlia del faraone: devo andarti a chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti il bambino? Và le disse la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino e le disse allatta per me il bambino ed io ti darò un salario. La donna prese con sé il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto lo condusse alla figlia del faraone, Egli divenne un figlio per lei ed Ella lo chiamò Mosè, dicendo: io l’ho salvato dalle acque.

Ripercorriamo questo racconto così ricco di particolari e dettagli importanti e scopriremo come il nostro sguardo si apra e si arricchisca  per guardare all’uomo che verrà.

Facciamoci guidare sempre da immagini/ segno.

 Le levatrici disobbediscono. Il futuro per essere generatore di novità di vita deve essere preceduto da una disobbedienza, da una discontinuità, da una rottura di una recinzione, spesso imposta da un potere che teme sempre la novità di vita. FUTURO COME LIBERAZIONE DA.

La madre alla nascita vede il figlio e ne vede la bellezza. O. Wilde diceva che nessuna cosa può essere vista se non se ne vede la bellezza. Simone Weill che nessun atto educativo può essere realizzato se non si apre lo sguardo a cogliere la bellezza che ciascun uomo e ciascuna donna ha in se, nel corpo e nella mente, nell’anima.

La bellezza è un seme potente di risveglio della propria ed altrui originalità irripetibile, della dignità, della regalità, della unicità e dell’unità di ogni essere umano. Se i nostri occhi sono appannati dal grigiore e dall’abbrutimento, se il nostro cuore ha paura di essere destato alla meraviglia ed alla gioia allora nessuna bellezza potrà mai apparire ai nostri occhi e nessun futuro potrà essere accolto generato nutrito.

 Il futuro della novità di vita va protetto, non va abbandonato alla nascita, va allattato, nutrito, custodito, non va dato in pasto alla furia degli elementi, penso alla virulenza della fretta con cui oggi tutto viene generato per essere consumato e dato in pasto alle piazze virtuali, senza riservatezza, cura, intimità, a volte anche nascondimento dall’occhio del Grande Fratello.

L’abbandono all’acqua, matrice di vita e di morte ha in tutte le narrazioni simboliche un significato straordinario che sveglia in nostro sguardo. Qualunque liberazione non può che giungere alla prova  delle acque, alla prova di un caos, di un diluvio come pericolo ma anche purificazione, rinnovamento, nuovo inizio. Mosè come Noè.  La culla di papiro, ricorda una piccola arca, rivestita di pece, adatta per galleggiare e non sfaldarsi nel viaggio sull’acqua. E’ deposta tra i giunchi. La madre spera che le donne scese al fiume lo trovino e manda la figlia a guardare e vegliare da lontano. Guardate la paziente capacità progettuale e strategica della madre, nulla è lasciato al nulla in questo abbandono, un’etica della convenienza la governa predisponendo tutti gli accorgimenti per scommettere contro l’impossibile: fare vivere il figlio.

La figlia del faraone apre la culla e vede il bambino piangere ed è mossa a compassione. IL FUTURO generato dalla disobbedienza d’amore,  NUTRITO CON CURA E governato con l’etica capace di strategia viene salvato dalla compassione. Il pianto del bimbo e la tenerezza del cuore della donna, lei entra in risonanza con quel pianto, lo sente risuonare in se, la radice dei verbi è splendida, patire che è ad un tempo sentire e soffrire, un verbo passivo che è la più forte radice generativa di azioni di bene. Ricordate il samaritano?

La sorella corre. La nutrice offerta alla principessa altri non sarà che la madre stessa!

Meraviglioso! L’astuzia della madre e della sorella è degna del richiamo evangelico ad essere candidi come colombe ed astuti come serpenti. La sapienza, la sfida dell’amore che pur di battersi per la vita fa tesoro di ogni cosa!

CRESCIUTOLO la madre se ne separa. Lui diverrà un principe d’Egitto.

Quanta capacità di futuro ha questa donna ed ancora oggi essa ci scuote da tutte le nostre fragili prudenze e dai nostri possessi. Saprà separarsene dopo averlo saputo salvare anche attraverso un’altra donna ed a lei lo restituirà affinchè egli viva, a lungo e come un principe.

La principessa lo chiamerà Mosè: Io l’ho salvato dalle acque. Straordinario: sull’Oreb, Mosè dinanzi al roveto ardente, dirà a Dio “ecco io agli israeliti dirò il Dio dei vostri padri mi ha mandato, ma mi diranno come si chiama? E io cosa risponderò lor0? Dio disse a Mosè” IO sono colui che sono “.

Bisognerebbe capire i geroglifici ebraici di questi passaggi delle sacre scritture per approfondire i nessi e le differenze tra queste formule ma possiamo immaginare che quell’IO sia una traccia di un cammino che Mosè compirà morendo e nascendo diverse volte, dentro un disegno di apertura del futuro di vita nuova come nuovo seme di umanità rinnovata, come Popolo di Dio in cammino.

Sempre l’Esodo contiene altre immagini / segno potentissime su questo sguardo altro che l’incontro con il divino apre in noi  proprio su come preparare e stare dinanzi al futuro. Dinanzi al roveto che brucia ma non si consuma, il Dio dell’Esodo chiama Mosè a morire ed a rinascere ancora.

L’Angelo del Signore, l’IO SONO, Colui che era , che è e che viene ci mostra che ora è il tempo della veglia, della gioia, della scelta, del Regno.

IL Respiro nel respiro. Il soffio che giunge.

IL RESPIRO SI FA CARNE PER IL SI DI MARIA. Ancora una donna che disobbedisce ai canoni per accogliere l’Energia primigenia della Vita. Ancora un Angelo inviato come un bimbo che spalanca una porta ed irrompe. Con Gentilezza, con grazia, come respiro, come soffio fecondativo. Per il si di Maria l’umanità resta incinta di Dio. E nei secoli sempre le donne ripetono questo si e restano incinte di Dio, in miriadi di forme. Il Dio dell’Avvento. Eccolo. Viene.  Gesù stesso ci mostra che il suo regno è in cammino e cammina sulle nostre gambe, nostre mani, nostri piedi, se accogliamo la sua guarigione, guarendo dalle paure, dalle prigioni di colpe ereditate e da noi rinnovate, dal grigiore della parola “ ormai “, dalla sicurezza di avere capito tutto o quasi, dalle certezze delle leggi scritte, delle consuetudini, degli stereotipi e dei modelli calati sui nostri corpi e sulle nostre vite come otri vecchi dove il nuovo vino non potrà stare, perché romperà i vecchi otri o inacidirà.

E’ lui che rompe e tronca con mano ferma, con sguardo amorevole la prigionia di un futuro come tempo della ripetizione di un cerchio chiuso, è Lui che capovolge la trama del tessuto del nostro essere e ci chiama a guardarci con occhi nuovi per divenire bambini e tendere la mano piccola e imparare ancora ed ancora il nostro passo che così va ancora ed ancora incontro al futuro che viene perché noi come il padre del figliol prodigo gli andiamo incontro con amorevole fiducia e cura.

Ci viene incontro perché noi lo chiamiamo all’essere, lo immaginiamo, lo desideriamo, lo prepariamo, gli facciamo spazio, lo nutriamo nella mente, nel cuore, nei gesti, negli atti, nelle scelte.

Come quando restiamo incinti.

Pure quando ci sorprende, trovandoci razionalmente impreparati, viene incontro ad un varco che, anche se inconsapevolmente, abbiamo lasciato aperto per consentire a noi stessi una possibilità.

Si srotola questo futuro giorno dopo giorno come gomitoli di lana colorata, variopinta, ha i nostri nomi, ha i nostri volti, i nostri giorni si e quelli no. E ‘ materiale ed immateriale insieme come quando,dinanzi ad una tavolozza di colori, o stoffe colorate un’artista crea tuffato dentro alla materia e contemporaneamente tuffato dentro una energia potente che la trascende.

Passatevelo, percepitelo fisicamente, immaginatene le possibili creazioni, ascoltate ciò che suggerisce all’immaginazione, sentitelo vostro poiché cosi ci invita ad essere percepito e conosciuto il futuro: come il possibile che ci appartiene e come l’impossibile che nessuna utopia ancora ha ipotizzato.

L’uomo che verrà ha il nome nostro e dei nostri figli, di quelli che conosciamo e di quelli che non conosciamo, di quelli che abbiamo generato fisicamente e di quelli che abbiamo generato con le nostre scelte di vita e di economia, di politica, di cultura.

Inscriviamo così il futuro nella sua vera dimensione, quella che ci fa vivere con estrema serietà e responsabilità l’unica dimensione temporale reale sulla quale noi possiamo intervenire, cioè l’hic et nunc, il qui ed ora. Guarda a questo giorno……

L’OGGI è il tempo della meraviglia. Della perdizione e della salvezza DELLA VITA .

GIOCATA MOLTO SULLA DISOBBEDIENZA.

Come non collegarsi a quella espressione riferita poi a Gesù: la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo, ecco l’opera del signore, una meraviglia ai nostri occhi.

Noi crediamo in una storia di vita e di salvezza, noi ci offriamo ogni volta che mangiamo e beviamo di Lui e con Lui a divenire tempio vivo dello Spirito e dimora di Dio. Qui e ora avviene la gioia, il bene, il coraggio, la speranza, frutto dell’amore tra noi, dove Dio può ancora nascere e vivere e noi con Lui, in Lui , per Lui.

Questo futuro che accade e si declina solo nell’hic et nunc chiede una lotta, un combattimento, un travaglio.

Un combattimento tra il lupo bianco ed il lupo nero dentro di noi, Vince quello che nutriamo di più. Nasciamo per imparare ad amarci. Accoglierci, perdonarci, comprenderci, non avere paura di incontrarci, di conoscere il nostro bambino che spesso releghiamo in qualche angolo di noi, ignorato e negato.

Ama il prossimo tuo come te stesso. Come te stesso.  Come ci amiamo?

Ciò che nutriamo dentro di noi ci determina e se nutriamo la parte di luce, pur accogliendo con misericordia e compassione la parte oscura di noi, perdonata e da riconciliare, allora siamo in grado di affrontare con grande forza il combattimento nel mondo.

Combattiamo con armi di luce.

Prima arma bianca: il modo in cui guardiamo le cose cambia le cose. Parzialità, senso del limite, ascolto, bisogno dell’altro punto di vista non come esercizio dialettico ma perché è ricchezza.

Seconda grande arma bianca di questo combattimento è la consapevolezza: la crisi metafora di un grande inganno interpretativo. Non c’è nessun tunnel.

Il mondo governato dal denaro divide, recide i nessi, separa, isola, spezza in frammenti noi stessi. Ci illude per deluderci e fiaccarci

Terza grande arma: nessuno si salva da solo, noi siamo RELAZIONE. MODELLO trinitario.

Unità- trinità è la modalità dell’amore dentro e fuori di noi.

Nell’Apocalisse di GiovANNI SUL TRONO siede l’UNO, l’intero, colui nel quale non vi è divisione, le diversità, le opposizioni non generano divisione.

E’ la profezia di Isaia, il lupo pascolerà con l’agnello  e ciò avviene nella meraviglia del dinamismo generato dallo Spirito Santo.

Siamo chiamati ad essere padre/ madre/ figlio e dimora dello Spirito con fiducia smisurata.

Quarta arma bianca : la gioia. Il Verbo si fa carne. La dabbar, l’energia positiva, creativa, d’amore di Dio. Avviene la meraviglia! Dove? Nella carne.

Incontro tra due donne ed è il  Magnificat.

UN  arcobaleno di luce e di amore unisce cielo e terra e due ventri gravidi cantano l’inno al futuro, all’uomo che verrà, che viene. Il bimbo sorride e noi con lui.


 

* Il testo è tratto dalla relazione tenuta al Convegno di Pozzuoli su «L’uomo che verrà. Quale umano stiamo preparando per il domani?», del 6 dicembre 2014