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Generazioni al verde

logo rubrica generazioni al verde( Vincenzo Lumia) – «La crisi in corso non si risolverà a brevi scadenze, né possiamo attendere soluzioni miracolistiche. Conosceremo ancora per molto tempo le contraddizioni di carattere socio-economico, le minacce del- la violenza e del terrorismo, la precarietà delle strutture pubbliche, la fatica di costruire l’Europa, i rischi per la pace internazionale, il dramma della fame nel mondo. Dovremo pertanto imparare a vivere nella crisi con lucidità e con coraggio, non per adagiarci rassegnati nella situazione, ma per disporci tutti a pagare di persona. Questa prevedibile fatica ha bisogno di forte vigore morale».
Così scrivevano i Vescovi italiani nel documento La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, del 23 ottobre 1981. A più di trent’anni di distanza, ognuno di noi è ancora impegnato a “so-stare” nella crisi, con la stessa consapevolezza e col medesimo senso di responsabilità che ci venivano richiesti allora, ma nello stesso tempo con un equipaggiamento in grado di consentirci, finalmente, di uscire dal guado e di incamminarci verso una “terra” migliore di quella in cui da troppi anni ormai stiamo vivendo.
Per questo abbiamo individuato in una declinazione “inedita” e “sinergica” dell’economia, dell’etica, dell’educazione l’investimento attraverso il quale dare sostanza e prospettiva a quell’impegno personale e collettivo che muove dalla speranza di essere in grado di “potere”, nonostante soggetti “forti”, “potenti” facciano di tutto per convincerci che cambiare la situazione data non sia possibile: un pensiero “unico”, un progetto politico, sociale ed economico “unico”, da prendere così com’è perché altro non ci è dato: cambiare, andare oltre, fare scelte diverse non si deve e non si può fare.
Cambiare l’esistente ingiusto, invece, si può e si deve; un futuro più umano è possibile, partire dagli ultimi non è vana pretesa di “simpatici”, ma “sciocchi” visionari. Una tale speranza non è illusoria, vanamente consolatrice, perchè si fa progetto, percorso, cantiere per costruire la città dell’uomo… una speranza che per il cristiano muove dal Vangelo
e si radica nel Cristo morto e risorto.
La sfida da raccogliere sta, quindi, nella volontà e nella capacità di progettare e realizzare percorsi che consentano di sperimentare un genere di vita diverso da quello dettato dal consumismo e scelte economiche non più obbligatoriamente basate sul modello unico neoliberista, ma che muovano da un ripensamento dell’economia stessa.
Bisogna passare da un tipo di economia volto esclusivamente al perseguimento del tornaconto personale e di un gruppo ristretto, che realizza profitto in grado soltanto di distruggere ricchezza e creare povertà, a un tipo di economia compatibile con la logica di bene comune, cioè di «un’impresa cooperativa per il reciproco vantaggio» (Rawls) dell’intera comunità e impegnata a rispettare e a valorizzare la natura, l’ambiente.
Un’economia dal volto umano, che sappia stare dentro un preci- so orizzonte etico. Un’etica che, prima ancora di rappresentare un complesso di norme comportamentali, segni il discrimine in ordine al “cosa”, al “come” e al “per chi” si deve produrre. L’orizzonte a questo punto si amplia notevolmente e lo scenario non può non comprende- re l’intera umanità e ogni angolo del globo, sino alle più lontane periferie geografiche ed esistenziali… nella consapevolezza che il bandolo per la soluzione dei gravissimi problemi che affliggono il nostro tempo non sta esclusivamente nel mercato, nella finanza, nell’economia… ma è questione di visione di vita, di etica pubblica, di valori morali, civili e religiosi capaci di orientare, disciplinare, correggere le scelte finanziarie, economiche, politiche.
È, inoltre, fin troppo evidente come a monte degli innumerevoli fenomeni nei quali si materializza la crisi economica in atto ci siano un degrado morale, un’assenza di etica pubblica, una corruzione dilagante, un coma delle coscienze, un avvilimento della politica e della funzione pubblica da basso impero.
Rifare l’uomo, ampliare l’umano, mettere la persona al centro, ripartire dagli ultimi, aprire gli occhi, le menti, i cuori è il difficile, ma entusiasmante compito a cui soprattutto come educatori siamo chiamati… per un’educazione, un modo di intendere e fare azione educativa che sappiano vigilare sui processi di trasformazione in atto a tutti i livelli: antropologico, esistenziale, culturale, sociale e politico… di leggere, comprendere, giudicare fenomeni, fatti, situazioni, scelte al di là dei luoghi comuni, delle facili scorciatoie, delle parole d’ordine, delle interpretazioni interessate e mistificatrici.
Un’educazione che generi compagnia, consapevolezza, competenza. Nel tempo dei non luoghi, dei social network a tasso zero di socialità vera, di analfabetismo di ritorno e di memoria corta, di incompetenza e trasformismo considerati requisiti quasi indispensabile per diventare classe dirigente, di rabbioso qualunquismo, di cinico opportunismo, di sfascismo antipolico…  occorrono processi educativi che sappiano generare persone vere, cittadini partecipi e disposti a scendere in campo per giocare da protagonisti la partita, adulti tali non solo per età, ragazzi e giovani in grado di crescere in modo organico, equilibrato, completo.
È tempo, ormai, di dire basta alle deleghe ai salvatori di ogni specie, alle tifoserie mosse dalla pancia e guidate da ultras che sanno solo urlare e istigare all’odio, alla violenza. I problemi non si risolvono vomitando offese su facebook, twitterando, postando e commentando in modo qualunquistico e semplificatorio. Non si esce dal tunnel vedendo solo nero, complotti e trame, quasi compiacendosi che tutto vada male. Né tirandosi pilatescamente e furbescamente fuori da qualsiasi responsabilità e impegno, pronti ad accusare gli altri e individuando untori e capri espiatori, secondo le indicazioni di tribuni e capi loggione dell’odio e di giustizieri radical chic a mezzo stampa e televisione. La società non si rigenererà mentre ci si stordisce nello sballo di ogni genere o ci si ritira sdegnati nel privato e nella sterile indignazione/rabbia.
Generazione al verde la nostra, sicuramente nell’accezione più corrente: adulti e giovani in difficoltà economica, disoccupati, mai occupati, poveri o a rischio povertà… ma al verde anche perché impegnati a praticare insieme modi nuovi, alternativi di vivere in comunità, di esercitare la cittadinanza, di creare lavoro, di produrre, di operare scelte consapevoli e coraggiose, di praticare stili di vita e comportamenti “controcorrente”, che malgrado la precarietà, le paure, i drammi di oggi vogliono caparbiamente restare “umani” e ampliare l’umano che c’è in ognuno.