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Domenica delle Palme

«COSTUI È IL RE DEI GIUDEI»
(Lc 19,28-40;  Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 23:1-49)

L’immagine che Luca ci offre di Gesù che sale Gerusalemme é di una eloquenza e di una solennità straordinaria: “Gesù camminava davanti a tutti”. Non vede l’ora di poter portare a compimento l’opera che il Padre gli ha affidato, non vede l’ora di consegnare la sua vita per noi. Non si muove con riluttanza o per forza, ma con decisione e prontezza. Nessuno lo costringe a farlo, se non il suo indomabile amore per noi. Mettendosi davanti, Egli dá il passo, l’andatura ai suoi discepoli, mostrando con quale disponibilità e prontezza essi devono imparare a rispondere alla chiamata del loro maestro e Signore. Questa é la sua ultima salita a Gerusalemme, ed Egli l’aveva preparata con accuratezza nei minimi particolari. Nulla accade per caso, ma tutto si rivela essere il compimento della parola dei profeti. Così, non appena arriva vicino a Betfage e Betania, presso l’orto degli ulivi,  manda due dei suoi discepoli a prendere un asino per portarglielo. Quante volte era salito a Gerusalemme prima di allora, e mai aveva avuto bisogno di avere una cavalcatura. Ma questa volta, manda due dei suoi discepoli a prendere un puledro d’asina su cui non era ancora salito nessuno. Gli animali destinati al sacrificio non erano messi al lavoro, perché erano destinati ad essere offerti al Signore come primizie a Lui gradite.

In piú Gesù dà ai due discepoli tutte le indicazioni su dove e come trovarlo e suggerisce loro cosa fare nel caso che qualcuno avesse avuto obiezioni per il fatto che stavano per portarsi l’asinello. Tutto si realizza proprio come il Maestro aveva loro indicato. Cosí, ai padroni, che li richiamano perché stanno sciogliendo il puledro e se lo stanno portando con loro, dicono quello che Gesù aveva detto loro di rispondere: “ Il Maestro ne ha di bisogno!”. Semplicemente cosí. E quelli li lasciano fare, senza discussioni. Molto verosimilmente Gesú aveva giá prima parlato con loro di questa possibilità, ecco perché essi lasciano fare. Tuttavia questa semplice motivazione ci fa riflettere molto riguardo al rapporto di fiducia e di confidenza che intercorre tra Gesù ed i suoi amici. Il sapere che il Maestro ne ha di bisogno é giá una ragione sufficiente per non fare storie, per fare di tutto per venire incontro ai suoi desideri. Se ne ha di bisogno, allora, ancora di piú, perché in questo modo egli ti fa capire che tu conti molto per Lui, che Egli desidera renderti partecipe dei suoi progetti e farti diventare suo collaboratore. E questo ti spinge a non rifiutarti, e ti fa sentire orgoglioso di poter fare qualcosa di bello e di importante per Lui.

Cosí Gesù sale su quest’asinello su cui nessuno era salito e che lo rappresenta, perché é proprio Lui che sará offerto in sacrificio. In questo momento Egli sta per realizzare una profezia di Zaccaria il quale ci presenta il Servo di Javeh che viene in mezzo al suo popolo come mite ed umile re di pace, cavalcando un asinello, un animale da soma, sempre disponibile al servizio, ad offrire il suo lavoro e la sua vita per il suo padrone. In effetti questa immagine suscita una incredibile ed inattesa reazione a catena, che di fatto sembra rendere attuale quella profezia. I discepoli si tolgono i mantelli e li collocano sul puledro per farvi salire Gesú. Altre persone che erano al seguito imitano i discepoli ed alcuni stendono i mantelli lungo la strada in segno di onore e di sottomissione verso Gesú. Non dimentichiamo che il mantello rappresentava la cosa piú personale ed incedibile, per cui quel gesto sta a significare il dono di se stessi. Nello stesso tempo, una forma di euforia condivisa pervade il cuore e la fantasia della gente che comincia a lodare a voce alta Dio, perché finalmente ha mandato il suo eletto e lo acclama con entusiasmo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore!». É come se la gente avesse intuito il senso di quel che avveniva. Gesú è acclamato come il re che viene nel nome del Signore, il suo Messia. Egli che di solito ha evitato questo tipo di manifestazioni, adesso le accetta come segno profetico, che riguarda la sua persona e la sua missione.

Cosí Gesù fa il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, ma in maniera pacifica e gioiosa, senza provocare alcuna sommossa,  trasmettendo al contrario un senso di profondo ed intimo entusiasmo religioso nella gente, che gusta il senso profondo della Pasqua ormai vicina, come il ricordo e la celebrazione viva della presenza misericordiosa e liberante di Dio. Ma questa scena di gloria é appena il preludio di quello che al termine della stessa settimana si sarebbe compiuto a Gerusalemme, cioè la condanna, la dolorosa Passione e la morte ignominiosa di Colui che, pur essendo riconosciuto da Pilato e da Erode non meritevole di colpa alcuna, viene lasciato nelle mani dei suoi accusatori: i capi del Sinedrio ed i dottori della legge, che ne hanno reclamato la morte in croce. Il racconto della Passione secondo Luca, che leggiamo quest’anno, ci aiuta a percorrere questo cammino, che trova il suo punto culminate nel dono che Gesú fa della sua vita al Padre per la nostra redenzione. Non dovremmo lasciarci prendere dall’insidia del saputo e risaputo, che rischia di svuotare il profondo contenuto di queste pagine del Vangelo, che parlano di noi e del nostro rapporto con Gesú ed il Padre, perché tra i discepoli e la folla, come pure tra i membri del sinedrio ed i capi del popolo, e persino tra i soldati e gli aguzzini, ci siamo anche noi. Leggiamo ed ascoltiamo queste pagine lasciandoci coinvolgere da esse.

Su quella croce, dove viene crocifisso Gesù, sta scritto il motivo della condanna: «Costui é il Re dei Giudei». Mi vorrei fermare in particolare sulle tre delle sette parole dette da Gesú sulla croce, che sono riportate da Luca. La prima di queste parole rivela la mitezza del cuore di Gesú, che non é venuto per giudicare e condannare, ma per salvare e richiamare all’amore del Padre. Guardando alla folla che lo circonda, e soprattutto ai suoi persecutori, Gesú non si lascia toccare dal risentimento o dall’ira, ma rivolge al Padre una invocazione piena di comprensione e di misericordia: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». La seconda parola é una affermazione di vita e di salvezza fatta con autoritá nei confronti del ladrone pentito che aveva provato sentimenti di compassione per Lui: «In verità io ti dico: oggi  sarai con me nel paradiso». Incurante di se stesso Gesú s’interessa del condannato che gli sta a fianco e gli da la speranza certa della salvezza. Ed infine, l’ultima sua parola, che é la sintesi della sua intera esistenza vissuta in totale comunione ed obbedienza al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Che siano proprio questi i sentimenti che trovano posto nel nostro cuore, in maniera che viviamo da veri discepoli di Gesú, nostro Maestro e Signore.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)