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Domenica delle Palme

Domenica delle Palme

«BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE»
(Mc 11,1-10/ Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47)

Il cammino quaresimale giunge al suo compimento, introducendoci nella celebrazione della Settimana Santa, che inizia con la Domenica delle Palme. La straordinaria liturgia di questa domenica prevede due momenti celebrativi: il primo, che commemora il solenne ingresso di Gesù a Gerusalemme all’avvicinarsi della Pasqua; il secondo, che annuncia il mistero della Passione, Morte e Deposizione nel sepolcro di Gesù, che celebreremo nell’arco di questa prossima settimana, in attesa della Pasqua. Il ritornello proclamato lungo le settimane di quaresima, adesso trova la sua realizzazione: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito”, “É venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. Tutta la vita di Gesù è protesa verso quest’ora che solo il Padre conosce, ma che Gesù attende. Altre volte Gesù è salito a Gerusalemme, ed ogni volta è stata come un preludio che lo avvicinava sempre più a quest’ora, l’ora nella quale il Figlio dell’Uomo sarebbe stato glorificato ed avrebbe rivelato di amare i suoi fino alla fine, tanto da offrire la sua vita al Padre per la salvezza del mondo.

In questa sua ultima visita a Gerusalemme, Gesù prepara tutto con accuratezza. La narrazione, pur nello stile vivace e sobrio di Marco, non manca di mettere in rilievo alcuni particolari. Leggiamo infatti che, giunto vicino a Bétfage, Gesù chiede a due dei suoi discepoli di scendere nel villaggio, dove avrebbero trovato un puledro legato, sul quale nessuno era mai salito, di scioglierlo e di portarglielo. Se qualcuno ne avesse chiesto ragione, avrebbero dovuto rispondere semplicemente: “Il Maestro ne ha bisogno”. E tutto avviene proprio come Gesù aveva previsto. Quel che segue corrisponde a quanto era stato già preannunziato dal profeta Zaccaria: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e misericordioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. I discepoli conducono da Gesù l’asinello, vi gettano sopra i loro mantelli e da qual momento comincia l’ingresso trionfale nella città santa, Gerusalemme. La profezia trova il suo compimento e Gesù viene acclamato e riconosciuto come il re, accolto dal popolo che grida: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!!».

Mi piace fermarmi sui particolari del racconto. Anzitutto la scelta inusuale di Gesù di voler andare a Gerusalemme, non a piedi ma su un asinello, un animale mite e sempre pronto a servizio degli uomini. É un linguaggio fatto di gesti, che attualizzano quanto era stato detto dai profeti. Gesù si presenta come re, come era stato annunziato a Maria dall’Angelo, ma il suo regno non è secondo gli uomini. Egli si presenta nella povertà, nell’umiltà, nella disponibilità al servizio. Non è un dominatore, ma al contrario uno che andrà incontro al fallimento, che sarà abbandonato dal popolo che ora lo acclama, ma che subito dopo invocherà la sua condanna, sarà tradito da Giuda, lasciato solo dai discepoli, rinnegato da Pietro, accusato dai membri del Sinedrio come bestemmiatore, consegnato a Pilato per essere condannato a morte. Se è un re, la sua è una regalità di misericordia. Gli onori a lui riservati sono le accuse, le frustate, gli insulti e gli sputi. La veste di cui sarà cinto sono le piaghe e le tumefazioni del suo corpo che sanguina. La sua corona sarà di spine ed il suo trono la croce. Questo re è Gesù.

Il puledro che Gesù sceglie non è stato ancora cavalcato da nessuno, non ha portato alcun peso. Gesù si offre per ammaestralo e prepararlo a portare i pesi, e lui stesso è il primo peso che l’asinello imparerà a portare. Ma il suo è un peso leggero. Al contrario sarà Lui, Gesù, a prendere su di sé il peso della cattiveria, dell’ingiustizia, dell’immoralità, della violenza, e di tutti i peccati dell’umanità. Il profeta Isaia ci presenta il Messia, Servo di Jawèh, come un discepolo ammaestrato nel linguaggio della consolazione, per poterlo insegnare agli sfiduciati ed oppressi, perché Lui per primo ha provato tutto questo ed è in grado di comprendere, compatire, e condividere. Anche il salmo 21 ci aiuta a comprendere quello che Gesù ha sofferto nella sua passione, soprattutto l’ abbandono di Dio, che si trasforma in invocazione di fiducia nel suo amore. Paolo contempla Gesù che ha svuotato  se stesso, per accogliere l’abisso della malvagità umana per sommergerlo nel suo amore che perdona. Il Vangelo poi ci racconta gli eventi dolorosi della Passione e della Morte del Signore fino alla sua sepoltura.

Ed infine vorrei fermarmi sull’altro particolare che viene esplicitamente affermato da Gesù, quando, per motivare il prestito del puledro, dice semplicemente di rispondere che “il Maestro ne ha bisogno”. Mi fa sempre pensare questa espressione di Gesù. Egli si presenta come uno che ha bisogno, e non lo nasconde. Ha bisogno di noi. Ha bisogno che ciascuno di noi prenda la sua croce e lo segua; che ciascuno di noi faccia la sua parte per portare a compimento il suo disegno di salvezza. Egli ha iniziato, ma vuole portare a compimento la sua missione insieme con noi. Ci ha resi soci nella sua opera di redenzione. Ha bisogno della mia parola per indirizzarla chi ha bisogno di luce e di consolazione. Ha bisogno del mio cuore per donare la sua tenerezza, la sua compassione, la sua sensibilità, il suo amore. Ha bisogno delle mie mani per soccorrere chi si trova senza aiuto e soccorso da parte di nessuno. Ha bisogno dei miei piedi per andare incontro al fratello e mettersi accanto a lui per servirlo. Il Maestro ha bisogno di me. Il Maestro ha bisogno di te. Il Maestro ha bisogno di ciascuno di noi.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)