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Chi fa volontariato lavora meglio

Chi fa volontariato lavora meglio

Chi fa volontariato lavora meglioLe abilità acquisite in attività solidali (dalla comunicazione allo spirito di adattamento, alla risoluzione dei conflitti) sono utili in tutti i settori di business.

Se prima era un’ipotesi, oggi è una certezza: fare volontariato accresce una serie di competenze “spendibili” anche in ambito lavorativo. Valutare, e quindi valorizzare, queste competenze è nella to do list dell’Unione Europea che attraverso ricerche, progetti e documenti sta cercando di raggiungere l’obiettivo di riconoscere a livello formale le capacità che sviluppa chi svolge un’attività di Volontariato. Il 2018 è il limine fissato dal Consiglio d’Europa entro cui gli Stati membri dell’UE sono invitati a produrre un regolamento sulla validazione dell’apprendimento non formale.

Un recente studio della City di Londra su 546 volontari che lavorano nelle scuole e nelle università inglesi ha messo in luce lo sviluppo di abilità e competenze rilevanti per tutti i settori di business, ad esempio: la capacità di comunicazione, la propensione ad aiutare gli altri, la disponibilità ad adattarsi in ambienti diversi e con diverse mansioni, responsabilità e persone, l’abilità nel negoziare e risolvere conflitti.
Già nel 2012 il Forum europeo della gioventù aveva commissionato una ricerca sul tema all’università di Bath (Regno Unito). Ne era emerso che i datori di lavoro sono consapevoli del valore aggiunto del personale attivo anche nell’ambito del Volontariato.

La validazione dell’apprendimento attraverso il volontariato è stata al centro di una serie di documenti che segnano le tappe di un percorso complesso e articolato: “Il ruolo delle attività di volontariato nella politica sociale” da parte del Consiglio dell’Unione europea, per proseguire con: “Volontariato: un passaporto verso il lavoro” della Commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo (giugno 2012); “Raccomandazioni del Consiglio sulla convalida dell’apprendimento non formale e apprendimento informale” (dicembre 2012); ”Verso uno spazio europeo di competenze e qualifiche” pubblicato dalla Commissione europea (giugno 2014); ”La convalida delle competenze e delle qualifiche acquisite attraverso l’apprendimento non formale e informale” del Comitato economico e sociale europeo (settembre 2015) e infine le “Linee guida europee per la convalida dell’apprendimento informale” del Cedefop – Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (2016).
Carte che hanno visto nel finanziamento di specifici progetti la loro declinazione concreta. Il progetto europeo Bevin (dataBase of Effective opportunities in the field of Validation of non-formal and INformal learning) per esempio: una partnership che vede il Centro Servizi di Torino Vol.To come interlocutore italiano, insieme a Polonia, Spagna, Bulgaria e Lettonia, nella messa a punto di un unico Database di strumenti efficaci per la verifica dell’apprendimento non formale e informale e un Analizzatore delle tendenze nella validazione delle opportunità. La presentazione dei risultati è attesa nell’evento organizzato per giovedì 26 settembre a Torino.
“Abbiamo lavorato due anni – racconta Silvio Magliano, presidente di Vol.To – con partner europei e siamo orgogliosi di contribuire concretamente all’elaborazione di strumenti di validazione dell’apprendimento non formale. Le attività svolte nel tempo libero possono fare la differenza anche in ambito lavorativo ed è importante non solo riconoscere al volontariato un ruolo di qualificazione professionale, ma dotarsi di criteri oggettivi e uniformi a livello europeo”.

  Giulia De Matteo, fonte: CSV net