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Ascensione del Signore

Ascensione del Signore

«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»
(At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20)

Con queste parole di consolazione e di certezza termina il Vangelo di Matteo, che vede gli undici riuniti attorno a Gesù sul monte dove Egli stesso aveva dato il suo ultimo appuntamento. La convocazione degli undici non è esclusiva, anche perché il libro degli Atti ci parla di un certo numero di discepoli che hanno avuto la possibilità di salutare il maestro per l’ultima volta prima del suo ritorno al Padre. In qualche modo, però, vuole fare riferimento a quelli che in maniera particolare hanno seguito il Signore Gesù fin dal primo momento della sua missione pubblica, quando scese nelle acque del Giordano per essere battezzato da Giovanni e su di Lui si posò lo Spirito. Gli Undici ricevono il compito di far rivivere la loro esperienza di discepolato a quanti avrebbero ascoltato la loro parola ed avrebbe creduto in Cristo Gesù, ottenendo il perdono dei loro peccati. Gli Undici sono la garanzia della autenticità dell’ insegnamento e della testimonianza riguardante il Signore Gesù, ma con essi c’è chiaramente tutta la Chiesa che riceve l’incredibile mandato che va al di là delle capacità delle singole persone, compresi gli Undici, cioè di rendere discepole tutte le genti.

Se il libro degli Atti ci testimonia che Gesù stette con i discepoli per quaranta giorni dopo la sua Risurrezione, facendosi vedere in più riprese e a moltissime persone in diversi luoghi e circostanze, se sottolinea che Egli ha continuato a parlare con loro delle cose che riguardavano il regno di Dio, noi comprendiamo cosa suggerisce la menzione dei quaranta giorni. Con questa allusione simbolica Luca ci suggerisce che quel tempo è stato necessario per radicare nel loro cuore e nella loro mente la certezza della sua Risurrezione e nello stesso tempo prepararli al distacco fisico dalla sua presenza, per iniziare a vivere un nuovo modo di essere con Lui, ma anche per completare la sua opera in loro e renderli capaci di portare avanti la sua stessa missione. La notazione, di cui Gesù non tiene affatto conto, che alcuni dubitavano, fa riferimento a questa situazione di debolezza, di dubbio che continuerà a presentarsi nella vita dei futuri discepoli, consapevoli che la loro adesione a Gesù va al di là di quello che i loro occhi possono vedere, o le loro orecchie sentire o le loro stesse mani toccare, perché dovranno ormai basarsi sulla testimonianza di quelli che il Signore stesso ha scelto e mandato perché diventassero testimoni di tutto quello che Egli aveva fatto ed insegnato nel tempo che era stato con essi.

Sia il Vangelo, sia gli Atti degli Apostoli, pur nella diversità del racconto, mettono in evidenza il contesto che ci presenta Gesù mentre continua a parlare con i suoi amici per dare le ultime consegne. Possiamo dire che sono tre le parole essenziali che possiamo accogliere: rimanere a Gerusalemme, andare per il mondo, essere certi della sua presenza. Il comando di restare a Gerusalemme è motivato da Gesù stesso. Essi devono attendere la promessa del Padre, l’invio dello Spirito Santo, lo Spirito di verità, perché sarà Lui che li guiderà alla verità tutta intera e farà ricordare tutto quello che Gesù aveva insegnato e li rivestirà di una straordinaria potenza, in modo che possano annunziare con autenticità e grande autorevolezza tutto quello che Gesù aveva loro comandato. Essi, come del resto tutti coloro che avrebbero creduto in forza della parola da loro annunziata, avrebbero avuto bisogno di essere “colmati di uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più perfetta e profonda conoscenza di Lui”.

Gesù ordina ai discepoli di andare in tutto il mondo, di predicare il vangelo a tutte le creature. C’è una chiarissima accentuazione della universalità della missione che i discepoli stanno per ricevere. Anche se il punto di partenza è Gerusalemme, la città santa, la città dove Gesù ha offerto se stesso in sacrificio per tutti gli uomini, questa non è però la loro fissa residenza, perché loro compito è quello di andare e continuare ad andare, per poter raggiunger gli uomini nei luoghi dove essi vivono, lottano, soffrono, sperano, e peccano pure, fino nelle periferie più nascoste e ignorate. Carica di umore è l’osservazione che fanno i due uomini in bianche vesti, che scuotono dal loro stupore e torpore i discepoli: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Da questo momento i discepoli sono avvisati che, se vogliono continuare a vedere Gesù, devono guardare verso la terra e cercarlo per le strade di questo mondo dove egli già ha iniziato il suo cammino e li precede. Se è asceso alla destra del Padre, non è per scomparire e lasciarci soli, ma al contrario per invitarci a seguirlo dove si faceva trovare anche prima, tra gli ultimi, tra i deboli, tra i malati, tra coloro che vengono calpestati ed emarginati, tra quanti hanno bisogno di Dio.

Compito dei discepoli sarà di predicare il Vangelo e battezzare, cioè immergere nella vita stessa di Dio, per prendere consapevolezza che Dio vive con le sue creature e continua a fare sue le loro ansie, le loro paure, le loro speranze e sofferenze, ma per ricolmarle di senso. Gesù fino all’ultimo rivela che è molto esigente, chiedendo ai discepoli di insegnare ad osservare tutto quello che ha comandato loro. Come non è stato mai alla ricerca di facili consensi, così neanche ora vuole discepoli ad ogni costo, ma persone che sono disposte a vivere fino in fondo le esigenze del Vangelo. Ma chi porta questo insegnamento lo deve portare anzitutto con la sua personale testimonianza, perché solo chi è discepolo fino in fondo potrà insegnare agli altri ad essere autentici discepoli. Gesù da’ coraggio ai suoi amici assicurando che non li lascia soli. É la sua ultima e definitiva promessa: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Lui è con loro, ma essi lo devono rivelare, lo devono in qualche modo rendere visibile, insegnando anzitutto con la vita e poi anche con la loro parole, come del resto ha fatto Lui, il Maestro.

Giuseppe Licciardi (Padre Pino)