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Aprí la loro mente per comprendere le scritture

«APRÍ LA LORO MENTE PER COMPRENDERE LE SCRITTURE»
(At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5; Lc 24,35-48)


Per la terza domenica consecutiva siamo portati all’interno del Cenacolo proprio il giorno della Risurrezione del Signore. Ma questo sostare davanti al Risorto, se da una parte ha lo scopo di rendere salda e sicura la fede degli apostoli e la nostra stessa fede, dall’altra rappresenta il punto di partenza per la missione dei discepoli, che è quella di rendere testimonianza che Gesù è vivo e nel suo nome viene annunziata la salvezza e la remissione dei peccati. La prima lettura infatti ci presenta Pietro che, nell’atrio del tempio,  di fronte a una enorme folla aveva compiuto un grande prodigio:  nel nome di Gesù, aveva ridato vigore alle membra di uno storpio, che gli chiedeva l’elemosina mentre egli si recava al tempio insieme con  Giovanni. Si trattava quindi di un evento stupendo, perché tutti conoscevano quell’uomo e sapevano che era storpio fin dalla nascita. Qualcuno dei familiari ogni giorno lo portava lì per chiedere la carità di quanti si recavano al tempio. Quell’uomo adesso è diventato capace di muoversi, di camminare, di correre e di saltare, come se lo avesse fatto da sempre.

Così Pietro, con grande vigore, parla alla folla per annunziare che quel prodigio era avvenuto per manifestare a tutti che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, aveva voluto glorificare il Figlio suo Gesù, col risuscitarlo dai morti. Proprio quel Gesù che il popolo ed i suoi capi avevano condannato, facendolo morire sulla croce. Pietro si limita a ricordare i fatti, affermando che essi avevano ucciso l’autore della vita, ma che Dio lo aveva risuscitato dai morti. E con grande tatto aggiunge lo avevano fatto per ignoranza, perché non avevano saputo riconoscere che Gesù era il Messia, mandato da Dio e annunziato dai profeti. Ma adesso, non è il momento di recriminare il passato, ma di annunciare a tutti la misericordia di Dio, che offre il perdono dei peccati a quanti si pentono e dispongono il loro cuore a credere in Gesù. Pietro, e gli altri discepoli, sono proprio i testimoni diretti e accreditati da Dio stesso per annunciare a tutti gli uomini la salvezza. Quell’uomo guarito era per tutti un segno inequivocabile della verità che veniva proclamata da Pietro e dagli altri discepoli, che erano stati con Gesù.

Non è un caso che la pagina del Vangelo di Luca, che oggi ci viene proposta, mette assieme tutti i primi testimoni, registrando come per ciascuno di loro era stato difficile accettare la realtà della Risurrezione del loro Maestro e Signore. Essi avevano combattuto con la loro incredulità che non voleva cedere. Il vedere il Maestro davanti a loro, che mostra i segni vivi della sua passione, era troppo bello per essere vero. E Gesù viene incontro alle loro paure, alle loro richieste di prove che li facessero sentire sicuri di quello che vedevano. Lo fa con grande delicatezza, chiedendo che gli offrano qualcosa da mangiare, per rassicurarli che non è un fantasma, ma che è proprio Lui. Ed ancora una volta ricorda quante volte aveva detto loro che sarebbe morto, ma che sarebbe risorto dai morti il terzo giorno. Adesso, con la forza dei fatti, apre la loro mente per comprendere le scritture che in Lui si erano realizzate le parole dei profeti. Solo adesso, essi sono in grado di capire, risalendo con la mente alle parole di Gesù con una chiarezza straordinaria. La luce dello Spirito ormai li guida e li ammaestra.

Ma l’annuncio della Risurrezione del Signore non è solo una notizia che sta davanti a noi in maniera obiettiva e distaccata. Quella notizia coinvolge direttamente la nostra vita e la lega in maniera irrevocabile a Gesù di Nazareth, che già con il fatto di essersi fatto uomo è entrato nella nostra esistenza. Non possiamo prendere le distanze da Lui, senza per questo compromettere la nostra stessa vita. A maggior ragione dopo la sua Risurrezione. Siamo chiamati direttamente in causa, come quelle persone che stavano davanti al Tempio a sentire la testimonianza appassionata di Pietro. Egli fa capire chiaramente che il Dio dei loro Padri si sta manifestando in maniera potente in Gesù di Nazareth. Credere in Dio significa accettare nella propria vita Gesù come nostro Salvatore, che Dio stesso ha mandato, proprio perché ha voluto venirci incontro nella sua bontà e misericordia. Egli, che è il Signore della vita è venuto ad offrirci una nuova vita, la vita dei figli di Dio, che ascoltano la sua parola e l’accolgono, come essa è veramente, come la vera via di rigenerazione, di comunione con Dio ed i fratelli.

Questa esigenza di conversione, che Gesù ribadisce nell’incontro con i discepoli nel cenacolo, è un elemento imprescindibile della fede in Gesù. Non si può credere in Gesù ed ignorarlo di fatto nella nostra vita di ogni giorno. Non si può credere in Gesù solo con la nostra mente o con le parole. Occorre rinunciare seriamente al peccato, perché Gesù è venuto per offrire a tutti gli uomini il perdono dei peccati, ed è morto proprio per i nostri peccati. Non si può affermare di credere i Gesù, se non si osservano i suoi comandamenti. In questo l’apostolo Giovanni è molto deciso: “Chi dice di conoscere Gesù, ma non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo”. Ogni alibi viene bruciato dalla parola dell’apostolo, che insiste sulla coerenza profonda che viene richiesta tra fede e vita, tra conoscenza di Gesù e capacità di compromettersi per lui. Non ci sono vie di mezzo o scorciatoie. La conoscenza vera è un fatto di vita e di amore. per questo Giovanni ci ammonisce: “Chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”. Lo sta dicendo a me, ed a te, oggi.

 Giuseppe Licciardi (Padre Pino)