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Amare i propri nemici

Amare i propri nemici

Domenica 7 del Tempo ordinario – C

Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

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Le beatitudini di domenica scorsa erano indirizzate sia ai discepoli che alla folla dei pagani. Oggi, che è la continuazione del brano di domenica, il discorso è rivolto ai discepoli, pertanto si fa meno generico e più preciso e puntuale. Il comportamento del discepolo – credente trova la sua giustificazione nell’imitazione di Dio. Infatti Gesù chiarisce subito: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Ci sono dei fondamenti dunque nella proposta di Gesù che poi sono i temi cari all’evangelista Luca: il credente anzitutto è uomo di perdono, poi di riconciliazione e quindi testimone del perdono ricevuto e sperimentato.  Ma questo itinerario è possibile soltanto ad una condizione, se ci si scopre itineranti nel cammino della propria conversione. Solo allora, ancorati alla verità, che è Dio nella propria storia, si è in grado di  narrare il vangelo  non come una esperienza esteriore, quanto piuttosto come attestato di un travaglio interiore in cui potere finalmente dichiarare agli altri di essere dei seri “conoscitori” di Dio. Solo dall’incontro orante con Dio, dalla contemplazione della sua fascinazione, si può trarre insegnamento ed assumere il medesimo suo atteggiamento. In fondo il cristiano è semplicemente colui che dona agli altri ciò che ha sperimentato come dono, fino a diventare capaci di «amare i propri nemici e benedire chi ci ha fatto del male». La celebrazione domenicale se viene sperimentata come dono che è in grado di “trasformare” il nostro modo di leggere Dio e noi con Lui, ci renderà capaci di vivere la novità del cambiamento, di potere gustare la gioia della fraternità e di stare nella Chiesa e nel mondo quali promotori di un messaggio che libera.

A Gesù manca una categoria basilare che tutti abbiamo, ossia l’idea della vittoria sugli altri a tutti i costi. Egli non vuole sottomettere nessuno; non ritiene nessuno suo nemico e mai ha accettato la cultura della competitività. Per noi, vincere è un’ossessione. Facciamo cose folli, pur di vincere e prevalere, magari sacrificando migliaia e migliaia di vite umane, come avviene nelle guerre. La vita è uccisa sull’altare della competizione e della sopraffazione. Per Gesù non c’è nemico e quindi neppure l’idea di vincere. Vincere chi? Gesù non odia, non disprezza, non nutre sentimenti di contrapposizione tesi a schiacciare l’avversario. L’unica grande legge per lui è la misericordia: “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro”. Ed aggiunge: “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. E’ il segreto del mondo propostoci da Gesù: un mondo meno violento e meno deludente di quello che siamo abituati a vivere. Le parole del Vangelo non sono astratte; in Gesù diventano realtà.

Don Francesco Machì