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Chiamati alle nozze del Regno

Chiamati alle nozze del Regno

«TUTTI QUELLI CHE TROVERETE CHIAMATELI ALLE NOZZE»
(Is 25,6-10a; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14)

L’immagine del banchetto, nel linguaggio biblico, è una delle più ricche ed espressive per indicare un clima di festa, di comunione gioiosa, di abbondanza e di gratuità. Il profeta Isaia offre questa consolante immagine di un banchetto di cibi raffinati e squisiti, irrorati da vino eccellente, per invitare il popolo di Dio a non lasciarsi abbattere dalla triste situazione presente, segnata dalla sofferenza e minacciata dalla morte. Il profeta completa l’immagine, aggiungendo un particolare molto interessante ed essenziale, che ci aiuta a scoprire meglio il volto di Dio, che è il Dio della vita e della gioia. L’affermazione è davvero formidabile, se si tiene conto soprattutto di come è espressa: “Strapperà la coltre che copriva tutti i popoli”, e questa coltre rappresenta la morte, che verrà eliminata per sempre. L’atto dello strappare ci fa sentire l’indignazione di Dio per questa realtà tremenda, che incute paura a tutti e che non può stare in un regno che appartiene al Signore della vita. Davanti a Lui non c’è spazio per dolore, lacrime, sofferenza e lutto. La morte è fuori posto nel suo Regno. Essa tuttavia continua a pesare sull’umanità, come monito permanente che richiama l’uomo alla sua caducità e fragilità, e come invito a porre in Dio ogni sua speranza.
Il profeta anticipa, nelle espressioni di stupore e di gioiosa meraviglia da parte degli invitati a quel banchetto, quella che è la sua personale fede e certezza riguardo a Dio. Ci fa scoprire l’autentico volto di Dio, così come alla fine sarà conosciuto senza più alcun ombra di dubbio: “Questi è il nostro Dio, il Signore in cui abbiamo sperato!”. Quella che era stata la speranza alimentata dai giusti nell’oscurità della realtà presente, diventa ora la luminosa certezza dei redenti. Il banchetto non è a pagamento, è assolutamente gratuito, è il dono offerto dalla generosa ed esuberante bontà di Dio che gode nel rendere i suoi figli partecipi della sua gioia e della sua ricchezza. Sono invitati a farne parte quanti si sentono a proprio agio con Dio, quanti si sentono suoi figli, quanti amano vivere alla sua presenza, ma nello stesso tempo sanno apprezzare il dono di vivere in compagnia degli altri come fratelli, e sono felici di poter condividere con loro i doni di Dio. Quello che Isaia mostra come la realtà futura, dell’al di là, che si manifesterà finalmente agli eletti, Gesù ce lo indica come la realtà che siamo chiamati a cominciare a far vivere fin da adesso, perché il Regno di Dio, che troverà nell’al di là la sua pienezza, comincia qui, su questa terra.
Gesù infatti ha cominciato la sua missione annunciando la presenza del Regno di Dio in mezzo agli uomini ed invitando ad entrare in esso mediante l’accoglienza del Vangelo ed una sincera conversione del cuore e della vita, in una totale apertura di fede. La parabola che Gesù racconta nel Vangelo di oggi fa riferimento al banchetto del profeta Isaia. Ancora una volta Gesù vuol accendere il nostro cuore di amore verso il Padre celeste, mostrandolo a noi nell’atto del Re che invita i suoi amici al banchetto per le nozze del Figlio. La gioia di questo Re è quella di vedere i suoi amici rallegrarsi insieme con Lui per la festa. Per questo li invita. La parabola contiene due momenti fondamentali che rispecchiano l’agire di Dio nella storia, chiamando dapprima un popolo, quale via per raggiungere gli altri popoli, ed in secondo momento estendendo la chiamata a tutti i popoli. Gesù sta parlando ai capi del popolo ed ai farisei, qualificati rappresentanti del popolo di Dio, ed è ad essi che racconta la parabola, per mostrare come di fatto, pur chiamandosi amici di Dio, essi hanno rifiutato Dio e i suoi continui e ripetuti inviti a vivere nella sua amicizia.
Chi mai rifiuterebbe il generoso invito del re per le nozze del Figlio? Eppure i servi che vengono a ricordare l’invito ed annunciano con gioia che tutto è pronto si trovano di fronte ad incredibile un rifiuto ed addirittura a gesti di violenza. Le risposte vanno dalle più educate alle più violente, ma tutte indicano indifferenza o netto rifiuto di fronte all’invito. Le scuse sembrano ragionevoli, ma in realtà sono solo dei pretesti. Nessuno è disponibile, perché c’è chi deve badare ai suoi affari, chi ha da coltivare il suo campo, chi non riesce a trovare il tempo per andare. Ma il re non si lascia abbattere da questo assurdo rifiuto, così manda i suoi servi in tutte le strade, in ogni vicolo, per invitare tutti al banchetto, “cattivi e buoni”. Questa notazione è davvero straordinaria. Non bisogna avere chissà quali meriti o quali raccomandazioni o quali credenziali, ma soltanto lasciarsi affascinare da quell’invito ed andarvi senza condizioni. La notizia più bella è che nessuno è escluso. La gioia del re è che la sala sia gremita fino all’inverosimile di commensali. Quanti più ne vengono tanto più egli è contento.
Ma la parabola non vuole essere solo una sintesi storica del rifiuto d’Israele e della chiamata degli altri popoli. Essa è rivolta proprio a me, che di fronte all’invito di Dio di vivere in piena comunione con Lui ho sempre pronta una scusa, sono preso da altri impegni, da altre occupazioni. Le risposte dei invitati manifestano la tragica realtà del rifiuto di Dio. Abbiamo i nostri progetti, i nostri affari, la nostra terra, la nostra vita. Il progetto di Dio non ci interessa, ci disturba. Per ogni tipo d’invito riesco a trovare il tempo: una cena, una chiacchierata con gli amici, una partita, un programma alla TV, un lavoretto da finire, un momento di relax, FB da controllare, qualcuno da chiamare… Per l’invito di Dio non ho mai tempo, o sono stanco, o non mi sento. Nella parabola ci sono due interruzioni da estrapolare: l’ira di Dio sugli invitati e sul poveraccio che non ha l’abito nuziale. Sono particolari che servono a ricordarci la serietà dell’invito di Dio ed il fatto che, senza Dio, facendo a meno di Lui, o conducendo uno stile di vita in cui non c’è spazio per ciò che piace a Dio, cioè misericordia, giustizia ed opere di pace, noi lavoriamo alla nostra stessa rovina. Del resto Gesù ci ha detto che chi non è legato a Lui non può portare frutto e chi non raccoglie con Lui, disperde.
Giuseppe Licciardi (Padre Pino)